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Usucapione, acquisizione sanante, risarcimento del danno

Espropriazione per pubblica utilità Giustizia amministrativa Giurisdizione e competenza

1. Sulla giurisdizione del giudice amministrativo in tema di risarcimento del danno per illegittima trasformazione di beni privati che tragga origine da una procedura espropriativa avviata e non conclusa. 2. Sussistenza della giurisdizione del Giudice Amministrativo quando venga dedotta occupazione di una superficie superiore a quella presa in considerazione da una precedente ordinanza di occupazione d’urgenza. 3. Rimedi a tutela del possesso esperibili dinanzi al Giudice Amministrativo, nel caso in cui lo spoglio sia consumato dalla PA nell'ambito di un procedimento espropriativo avviato a seguito di valida dichiarazione di pu, ma non validamente concluso. 4. La trasformazione di beni privati, nell'ambito di un procedimento espropriativo non validamente concluso, configura un illecito permanente e non una fattispecie acquisitiva, salvo l'acquisto per usucapione. 5. Sulla necessità che la dichiarazione di pubblica utilità (ivi compresa quella implicita) sia preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento. 6. Esclusione dell'espropriazione indiretta per contrarietà con i principi desumibili dalla giurisprudenza della CEDU e modalità di acquisizione sanante. L'art. 43 d.P.R. n. 327/2001. La sentenza della Corte Costituzionale n.293 dell’8 ottobre 2010. 7. Conseguenze derivanti dalla declaratoria di incostituzionalità dell'art. 43 d.P.R. n. 327/2001. 8. L'art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001. Esperibilità dell'acquisizione sanante anche nel caso di procedimenti espropriativi avviati anteriormente alla sua entrata in vigore, ivi compresi quelli da cui sono scaturiti contenziosi definiti con sentenze passate in giudicato. 9. L'art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001 preclude al GA di condannare la PA alla restituzione della nuda proprietà superficiaria al privato, perché ciò precluderebbe alla medesima PA di esercitare il potere di acquisizione sanante. 10. Sull'acquisto per usucapionem del bene illecitamente trasformato nell'ambito di un procedimento espropriativo non validamente concluso. Competenza del Giudice Amministrat
T.A.R. Campania Napoli, Sez. 5, Sentenza 28 dicembre 2013, n. 06048

Principio

1. Sulla giurisdizione del giudice amministrativo in tema di risarcimento del danno per illegittima trasformazione di beni privati che tragga origine da una procedura espropriativa avviata e non conclusa.
1.1. In materia dei procedimenti di espropriazione per pubblica utilità, ad eccezione delle ipotesi in cui l’Amministrazione espropriante abbia agito nell’assoluto difetto di una potestà ablativa come mancanza di qualunque facultas agendi vincolata o discrezionale di elidere o comprimere detto diritto – devolute come tali alla giurisdizione ordinaria, sono devolute alla giurisdizione amministrativa esclusiva le controversie nelle quali si faccia questione - anche ai fini complementari della tutela risarcitoria - di attività di occupazione e trasformazione di un bene conseguenti ad una dichiarazione di pubblica utilità e con essa congruenti, anche se il procedimento all'interno del quale sono state espletate non sia sfociato in un tempestivo e formale atto traslativo della proprietà ovvero sia caratterizzato dalla presenza di atti poi dichiarati illegittimi, purchè vi sia un collegamento all’esercizio della pubblica funzione (Cons. Stato, IV, 4.4.2011, n.2113; T.A.R. Lombardia, Brescia, I, 18.12.2008, n.1796; 1.6.2007, n.466; Cons. Stato, A.P. 30.7.2007, n.9 e 22.10.2007, n. 12; T.A.R. Basilicata, 22.2.2007, n.75; T.A.R. Puglia, Bari, III, 9.2.2007, n.404; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 18.12.2007, n.6676; T.A.R. Lazio, Roma, II, 3.7.2007, n.5985; T.A.R. Toscana, I, 14.9.2006, n.3976; Cass. Civ., SS.UU., 20.12.2006, nn. 27190, 27191 e 27193). 
1.2. Le domande risarcitorie e restitutorie relative a fattispecie di occupazione usurpativa rientrano nella giurisdizione ordinaria, così come il giudice amministrativo - nello stabilire l’importo del danno da ablazione illegittima - non può includervi anche quanto dovuto per il periodo di occupazione legittima, la cui valutazione pure è di spettanza del giudice ordinario a norma degli artt. 53, comma 3 e 54 T.U. 8 giugno 2001, n. 327, viceversa sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in caso di danni conseguenti all’annullamento della dichiarazione di pubblica utilità e, in generale, di un provvedimento amministrativo in tema di espropriazione per pubblica utilità.

2. Sussistenza della giurisdizione del Giudice Amministrativo quando venga dedotta occupazione di una superficie superiore a quella presa in considerazione da una precedente ordinanza di occupazione d’urgenza.
2.1. L’art. 53 del DPR n. 327/2001, per come ispirato al principio di concentrazione dei giudizi, ha attribuito rilevanza decisiva ai provvedimenti che impongono il vincolo preordinato all’esproprio e a quelli che dispongono la dichiarazione di pubblica utilità: una volta attivato il procedimento caratterizzato dall’esercizio del pubblico potere, sussiste la giurisdizione amministrativa esclusiva in relazione a tutti i conseguenti atti e comportamenti e ad ogni controversia che sorga su di essi, anche quando trattasi di procedimenti espropriativi diretti alla esecuzione dei lavori per la realizzazione o la modificazione di un’opera pubblica e di atti strumentali alla realizzazione di detta finalità pubblica (Cass. Civ., SS. UU., ord.za 16.12.2010, n. 25393). 
2.2. Si è in presenza di una fattispecie riconducibile alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, per come derivante da esercizio di un pubblico potere, anche nel caso in cui si lamenti formalmente l’occupazione di aree non comprese nell’ambito della procedura espropriativa, ma in realtà si abbia riguardo al decreto di esproprio, cioè alla determinazione del suo effettivo contenuto, per la dedotta occupazione di una superficie superiore a quella presa in considerazione da una precedente ordinanza di occupazione d’urgenza, poiché ai fini della liceità o meno va verificato lo specifico contenuto degli atti e degli accordi posti in essere nel corso del procedimento ablatorio (cfr. Cons. Stato, IV, 2.3.2010, n.1222).
2.3. In materia dei procedimenti di espropriazione per pubblica utilità, i principi in tema di riparto di giurisdizione sono codificati dall'art. 133, comma 1, lett. f) del Codice del processo amministrativo (allegato 1 del D. Lgs. 2 luglio 2010 n. 104), il quale attribuisce alla giurisdizione esclusiva del GA la cognizione sulle ipotesi di comportamento dell’Amministrazione riconducibile all’esercizio del pubblico potere che si sia manifestato per il tramite della dichiarazione di pubblica utilità della quale non risulta dimostrata la perdita d'efficacia, sulle controversie aventi ad oggetto atti, provvedimenti e comportamenti della P.A. in materia di espropriazioni per pubblica utilità di cui alla successiva lett.g) del citato art. 133 ove si è espressamente contemplata la giurisdizione esclusiva del GA, ferma la giurisdizione del giudice ordinario per le ipotesi di determinazione e corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa.

3. Rimedi a tutela del possesso esperibili dinanzi al Giudice Amministrativo, nel caso in cui lo spoglio sia consumato dalla PA nell'ambito di un procedimento espropriativo avviato a seguito di valida dichiarazione di pu, ma non validamente concluso.
3.1. Allorquando l'Amministrazione abbia emanato una valida dichiarazione di pubblica utilità ed un legittimo decreto di occupazione d'urgenza senza tuttavia emanare il provvedimento definitivo di esproprio nei termini previsti dalla legge, nell'ipotesi in cui il privato domandi la reintegra nel possesso di aree illecitamente apprese, le forme di tutela non quelle previste dall’art 703 c.p.c., che rinvia agli art. 669 bis e ss. c.p.c., bensì quelle proprie del processo amministrativo. Come ha rilevato la Corte Costituzionale – investita di una questione di legittimità con riferimento all’inesistenza di un tutela cautelare ante causam avanti al g.a. – l’applicazione di istituti processual-civilistici non è giustificabile qualora le esigenze ad essi sottese vengano effettivamente tutelate da istituti propri del processo amministrativo (idem T.A.R. Umbria, 4.9.2002, n. 652). 
3.2. L’esigenza di tutela immediata, soddisfatta dagli artt. 703-669 bis e ss. c.p.c., è efficacemente garantita mediante il procedimento prima previsto dall’art 23-bis della Legge n. 1034/1971 e ora dall'art. 119 del D.Lgs. 2/7/2010, n. 104, di cui sussistono tutti i presupposti applicativi (essendo, in particolare, la controversia oggetto del presente giudizio contemplata dalla lettera b) del medesimo articolo).

4. La trasformazione di beni privati, nell'ambito di un procedimento espropriativo non validamente concluso, configura un illecito permanente e non una fattispecie acquisitiva, salvo l'acquisto per usucapione.
4.1. Il comportamento tenuto dalla Amministrazione, la quale abbia emanato una valida dichiarazione di pubblica utilità ed un legittimo decreto di occupazione d'urgenza senza tuttavia emanare il provvedimento definitivo di esproprio nei termini previsti dalla legge, deve essere qualificato come "illecito permanente", nella cui vigenza non decorre la prescrizione, ciò perché in questo caso manca un effetto traslativo della proprietà, stante la mancanza del provvedimento di esproprio, connesso alla mera irrevocabile modifica dei luoghi. 
4.2. Salva restando la possibilità di optare per le differenti forme "risarcitorie" che l'ordinamento appresta (restituzione del bene ovvero risarcimento del danno per equivalente), il soggetto privato del possesso può agire nei confronti dell'ente pubblico senza dover sottostare al termine prescrizionale quinquennale decorrente dalla trasformazione irreversibile del bene, con l’unico limite temporale rinvenibile nell’acquisto della proprietà, per usucapione ventennale del bene, eventualmente maturata dall’ente pubblico (cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, 1.2.2011, n. 175).

5. Sulla necessità che la dichiarazione di pubblica utilità (ivi compresa quella implicita) sia preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento.
5.1. La comunicazione di avvio del procedimento ablatorio, perché abbia utilmente un senso e serva al suo scopo, deve precedere l’atto centrale ed essenziale del procedimento espropriativo, vale a dire la delibera di dichiarazione di pubblica utilità e di localizzazione dell’opera, dal momento che una comunicazione successiva si rivela del tutto inutile ed inficia il relativo procedimento. 
5.2. Anche nelle ipotesi in cui ricorra la dichiarazione di pubblica utilità c.d. “implicita”, ossia quella insita nell’approvazione del progetto dell’opera pubblica, il relativo procedimento deve essere preceduto dalla comunicazione prevista dall’art.7 della Legge n.241/1990 (Cons. Stato, IV, n.1668/2007; n.8259/2006; n.5352/2005; VI, n.736/2003).
5.3. L'omesso avviso di avvio del procedimento impedisce all’interessato di partecipare utilmente al procedimento per collaborare alla determinazione del contenuto del provvedimento finale, vanificando un meccanismo che ha inteso innestare nell'attività amministrativa un elemento di riqualificazione di grande rilievo civile, consistente nell'introduzione nel procedimento amministrativo della cultura della dialettica processuale, per cui alla prassi della definizione unilaterale del pubblico interesse, oggetto, nei confronti dei destinatari di provvedimenti restrittivi, di un riserbo ad excludendum già ostilmente preordinato a rendere impossibile o sommamente difficile la tutela giurisdizionale, è subentrato il sistema della democraticità delle decisioni e della accessibilità dei documenti amministrativi, in cui l'adeguatezza dell'istruttoria si valuta anzitutto nella misura in cui i destinatari sono stati messi in condizione di contraddire (ex plurimis, Cons. Stato, VI, 5.12.2007, n.6183; A. P., 15.9.1999, n.14). Si è dunque in presenza di un nuovo criterio di regolamentazione dell’azione dei pubblici poteri, fondato sulla valorizzazione del metodo dialettico come forma inderogabile di esercizio della funzione amministrativa, il cui rispetto, in quanto da un lato preordinato a garantire il contraddittorio nel procedimento amministrativo non solo a scopo difensivo ma anche ai fini della formazione di una più completa e razionale volontà dell’Amministrazione, dall’altro idoneo a garantire la partecipazione al procedimento dei soggetti direttamente interessati, risulta tra l’altro in stretta correlazione con i canoni di rango costituzionale dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione amministrativa, assicurando la cura ottimale dell’interesse pubblico e parallelamente un’anticipata composizione dei conflitti; conseguentemente deve riconoscersi alle garanzie di partecipazione in questione la dignità giuridica di principio generale dell’ordinamento, con natura eccezionale di ogni disposizione derogatoria che escluda o limiti tale diritto.

6. Esclusione dell'espropriazione indiretta per contrarietà con i principi desumibili dalla giurisprudenza della CEDU e modalità di acquisizione sanante. L'art. 43 d.P.R. n. 327/2001. La sentenza della Corte Costituzionale n.293 dell’8 ottobre 2010.
6.1. In base alla giurisprudenza del Giudice Europeo (cfr. Corte Europea Diritti Uomo, 6.3.2007, n.43662) è precluso ravvisare una “espropriazione indiretta” o “sostanziale” in assenza di un idoneo titolo previsto dalla legge.
6.2. Il T.U. n. 327/2001, attraverso la disciplina contenuta nell’art.43, aveva originariamente introdotto un meccanismo che attribuiva all’Amministrazione il potere di acquisire la proprietà dell’area con un atto formale di natura ablatoria e discrezionale al termine del procedimento nel corso del quale vanno motivatamente valutati gli interessi in conflitto; il citato art. 43 era stato in definitiva emesso dal Legislatore delegato per consentire all'Amministrazione di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto quando il bene fosse stato «modificato per scopi di interesse pubblico» (fermo restando il diritto del proprietario di ottenere il risarcimento del danno). 
6.3. Nel vigore dell'art. 43 TU n. 327/2001, in tema di acquisizione sanante, da un lato, vi era un’interpretazione garantista, ma minoritaria, che richiedeva una motivazione esauriente delle ragioni della disposta sanatoria che provasse la sua inevitabilità (Cons. Stato, VI, 9.6.2010, n.3655); dall’altro lato, in maniera prevalente, si ammetteva l’applicabilità dell’istituto anche in presenza di un giudicato che riconosceva al privato il diritto alla restituzione dell’area (ex multis, Cons. Stato, IV, 22.10.2010, n.7619; V, 13.10.2010, n.7472). 
6.4. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 293 dell’8 ottobre 2010, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del cennato art.43: muovendo dalla contrapposizione tra la Corte di Cassazione, che esclude l’ammissibilità dell’adozione di un provvedimento di acquisizione sanante ex art. 43 con riguardo alle occupazioni appropriative verificatesi prima dell’entrata in vigore del D.P.R. n. 327 del 2001, e il Consiglio di Stato, secondo il quale «la procedura di acquisizione in sanatoria di un’area occupata sine titulo, descritta dal citato articolo 43, trova una generale applicazione anche con riguardo alle occupazioni attuate prima dell’entrata in vigore della norma».
6.5. Nella sentenza n. 293/2010, la Consulta ha affrontato la possibilità di acquisire alla mano pubblica un bene privato, in precedenza occupato e modificato per la realizzazione di un’opera di interesse pubblico, anche nel caso in cui l’efficacia della dichiarazione di pubblica utilità sia venuta meno, con effetto retroattivo, in conseguenza del suo annullamento o per altra causa, o anche in difetto assoluto di siffatta dichiarazione. Preso atto che la delega riguardava il «riordino» delle norme elencate nell’allegato I alla legge n. 59 del 1997 ed, in particolare, il «procedimento di espropriazione per causa di pubblica utilità e altre procedure connesse: legge 25 giugno 1865, n. 2359; legge 22 ottobre 1971, n. 865», il giudice delle leggi ha affermato la necessità che, in ogni caso, si faccia riferimento alla ratio della delega, si tenga conto della possibilità di introdurre norme che siano un coerente sviluppo dei principi fissati dal legislatore delegato e detta discrezionalità venga esercitata nell’ambito dei limiti stabiliti dai principi e criteri direttivi.
6.6. L’istituto previsto e disciplinato dall’art. 43 d.P.R. n. 327/2001 era connotato da numerosi aspetti di novità, rispetto sia alla disciplina espropriativa oggetto delle disposizioni espressamente contemplate dalla legge-delega, sia agli istituti di matrice prevalentemente giurisprudenziale, specie nel momento in cui si era introdotta la possibilità per l’Amministrazione e per chi utilizza il bene di chiedere al giudice amministrativo, in ogni caso e senza limiti di tempo, la condanna al risarcimento in luogo della restituzione; nel regime risultante dalla norma impugnata, inoltre, si era previsto un generalizzato potere di sanatoria, attribuito alla stessa Amministrazione che aveva commesso l'illecito, a dispetto di un giudicato che disponeva il ristoro in forma specifica del diritto di proprietà violato. Il Legislatore delegato, in definitiva, non poteva innovare del tutto e derogare ad ogni vincolo alla propria discrezionalità esplicitamente individuato dalla legge-delega, dovendo piuttosto limitarsi a disciplinare in modi diversi la materia e ad espungere del tutto la possibilità di acquisto connesso esclusivamente a fatti occupatori, garantendo la restituzione del bene al privato in analogia con altri ordinamenti europei.

7. Conseguenze derivanti dalla declaratoria di incostituzionalità dell'art. 43 d.P.R. n. 327/2001.
7.1. A seguito dell’eliminazione dal mondo giuridico dell'istituto della cd. “acquisizione sanante” di cui all'art. 43 D.P.R. n. 327 del 2001, il comportamento tenuto dall’Amministrazione doveva essere qualificato non già come illecito, bensì come illegittimo; si trattava di un’illegittimità a cui non poteva porsi rimedio neppure riesumando l'istituto di origine giurisprudenziale della cosiddetta “espropriazione sostanziale” - nelle due ipotesi alternative della occupazione acquisitiva o usurpativa - perché tale istituto era stato ritenuto in contrasto con l'ordinamento comunitario (cfr.: T.A.R. Sicilia Palermo I, 1.2.2011 n. 175; idem III, 21.1.2011 n. 115). 
7.2. In nessun caso - neppure a fronte della sopravvenuta irreversibile trasformazione del suolo per effetto della realizzazione dell’opera pubblica - era possibile giungere ad una condanna puramente risarcitoria a carico dell’Amministrazione, poiché una tale pronuncia presupponeva in ogni caso l’avvenuto trasferimento della proprietà del bene per fatto illecito dalla sfera giuridica di parte ricorrente, originaria proprietaria, a quella della P.A. che se ne è illecitamente impossessata, esito, questo, non consentito dal primo protocollo addizionale della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo (cfr. T.A.R. Calabria, Catanzaro, I, 1.7.2010, n. 1418). 
7.3. Dall'eliminazione dell'art. 43 d.P.R. n. 327/2001, ricorrendone i presupposti, le Amministrazioni non potevano che essere condannate alla restituzione a parte ricorrente degli immobili in ragione dell’accertato utilizzo degli stessi per come materialmente appresi sia pure per fini pubblicistici, atteso l’irrilevanza, nell’ottica di una eventuale traslazione della proprietà della res, che fosse stata realizzata l’opera pubblica nella misura in cui questa aveva modificato la destinazione originaria del cespite e recato un pregiudizio patrimoniale e non a carico di parte ricorrente. Tale statuizione era peraltro compatibile con la restituzione dei cespiti e facoltà dello ius tollendi concessa al proprietario dei manufatti alle condizioni previste dall'art. 935 c.c., comma 1 e art. 937 c.c., laddove il diritto al risarcimento e l’applicabilità dell’art.2058 c.c. sarebbero entrati in discussione ove si fosse rientrati nella materia risarcitoria.
7.4. In costanza di vuoto normativo conseguente alla declaratoria di incostituzionalità dell'art. 43 d.P.R. n. 327/2001, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (31.5.2011, n.11963) hanno affermato che l’irreversibile trasformazione, anche parziale, del fondo determina l’acquisto della proprietà del bene, nei limiti della parte trasformata, da parte dell’Amministrazione che aveva dato corso al processo espropriativo, mentre l’eventuale domanda di risarcimento in forma specifica sarebbe ordinariamente destinata ad avere esito negativo, dovendo trovare prioritario soddisfacimento l’interesse posto a base della realizzazione dell’opera pubblica. 
7.5. La giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Emilia-Romagna, Parma, I, 12.7.2011, n.245) ha ritenuto che, proprio a seguito del vuoto normativo conseguente alla declaratoria di incostituzionalità dell'art. 43 d.P.R. n. 327/2001, ove il privato avesse chiesto unicamente il risarcimento del danno per equivalente in ragione dell’irreversibile trasformazione del bene, detta richiesta andava considerata come rinuncia alla restituito in integrum.
7.6. La richiesta del solo risarcimento per equivalente non determinerebbe un effetto abdicativo della proprietà all’Amministrazione occorrendo piuttosto un accordo transattivo tra le parti (Cons. Stato, IV, 13.6.2011, n.3561; 1.6.2011, n.3331; 28.1.2011, n.676), mentre se il privato dovesse insistere per la tutela restitutoria la stessa andrebbe disposta eccezion fatta per la ricorrenza dei presupposti per l’applicazione degli artt. 2933, comma 2 o 2058 c.c. 
7.7. Con il venir del procedimento espropriativo accelerato di cui al citato art. 43 d.P.R. n. 327/2001, la P.A. avrebbe potuto apprendere il bene facendo uso unicamente del contratto tramite l’acquisizione del consenso della controparte, ovvero del provvedimento anche in assenza del consenso ma con riedizione del procedimento espropriativo con le sue garanzie (cfr. Cons. Stato, IV, 29.8.2011, n. 4833).

8. L'art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001. Esperibilità dell'acquisizione sanante anche nel caso di procedimenti espropriativi avviati anteriormente alla sua entrata in vigore, ivi compresi quelli da cui sono scaturiti contenziosi definiti con sentenze passate in giudicato.
8.1. Con l’art.34 del Decreto-Legge 6.7.2011, n.98 convertito in Legge 15.7.2011, n.111 (in materia di misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria) è stato reintrodotto attraverso l’art.42-bis d.P.R. n. 327/2001 l’istituto dell’acquisizione coattiva dell’immobile del privato utilizzato dall’Amministrazione per fini di interesse pubblico, potendosi acquisire al suo patrimonio indisponibile il bene del privato allorché la sua utilizzazione risponde a “scopi di interesse pubblico” nonostante difetti un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità. L’obbligo motivazionale ai sensi del nuovo comma 4 impone di dare conto dell’assenza di ragionevoli alternative alla adozione del nuovo provvedimento, che entro trenta giorni va anche comunicato alla Corte dei Conti (comma 7); ancora nella nuova versione (commi 1, 2, 3 e 4) si fa riferimento all’indennizzo, piuttosto che al risarcimento del danno, quale corrispettivo dell’attività posta in essere dall’Amministrazione, ciò forse per la liceità dell’attività, non retroattiva, posta in essere dall’Autorità agente. Laddove prima, anche in sede di contenziosi diretti alla restituzione di un bene utilizzato per scopi di interesse pubblico, la P.A. poteva chiedere che il giudice amministrativo disponesse la condanna al risarcimento del danno, con esclusione della restituzione, e successiva adozione del provvedimento sanante dall’Amministrazione interessata, ora (comma 2) il provvedimento di acquisizione può essere adottato anche in corso di giudizio di annullamento previo ritiro dell’atto impugnato.
8.2. Il potere acquisitivo dell’Amministrazione è esercitabile ex art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001 anche in presenza di una pronunzia giurisdizionale passata in giudicato che abbia annullato il provvedimento che costituiva titolo per l’utilizzazione dell’immobile da parte della stessa Amministrazione, atteso che il giudicato è intervenuto sull’atto annullato e non sul rapporto tra privato ed Amministrazione. 
8.3. In virtù dell'art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001, il nuovo atto, che l’Amministrazione è legittimata ad adottare finché perdura lo stato di utilizzazione pur se illegittima del bene del privato, è distinto da quello annullato, tant’è che non opera con efficacia retroattiva e non ha una funzione sanante del provvedimento annullato; in ogni caso la P.A. deve porre in essere tutte le iniziative necessarie per porre fine alla perdurante situazione di illiceità, restituendo il bene al privato solo quando siano cessate le ragioni di pubblico interesse che avevano comportato l’utilizzazione del suolo, dovendo in caso contrario acquisire al suo patrimonio indisponibile il bene su cui insiste o dovrà essere realizzata l’opera pubblica o di pubblico interesse.

9. L'art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001 preclude al GA di condannare la PA alla restituzione della nuda proprietà superficiaria al privato, perché ciò precluderebbe alla medesima PA di esercitare il potere di acquisizione sanante.
9.1. Con l'entrata in vigore dell'art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001, non è in ogni caso possibile la restituzione della nuda proprietà superficiaria al privato, atteso che ciò che rileva è appunto l’idoneità del bene del privato a soddisfare, attraverso la sua trasformazione fisica, l’interesse pubblico perseguito dall’Amministrazione (cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, III, 19.8.2001, n.2102).
9.2. Con l'entrata in vigore dell'art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001, il giudice amministrativo, anche nell’esercizio dei propri poteri equitativi e nella logica di valorizzare la ratio della novella legislativa di far sì che l’espropriazione della proprietà privata per scopi di pubblica utilità non si trasformi in un danno ingiusto a carico del cittadino e che gli effetti indennitari e/o risarcitori conseguano necessariamente ad un formale provvedimento della PA, può accogliere la domanda risarcitoria derivante dall’occupazione senza titolo di un bene privato per scopi di interesse pubblico, se irreversibilmente trasformato, differendone però gli effetti all’emissione di un formale provvedimento acquisitivo ai sensi dello stesso art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001.
9.3. L'art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001 si connota per essere una previsione di una “legale via d’uscita” con l’esercizio di un potere basato sull’accertamento dei fatti e sulla valutazione degli interessi in conflitto (che di fatto trasforma un comportamento in un’attività amministrativa supportata dalla presunzione di legittimità); tale opzione appare immune da questioni di costituzionalità (cfr. Cons. Stato, VI, 15.3.2012, n.1438) in quanto conforme alle disposizioni della CEDU ed alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo che in passato ha condannato la Repubblica italiana proprio perché i giudici nazionali avevano riscontrato la perdita della proprietà in assenza di un valido provvedimento motivato. 
9.4. L’art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001, pur facendo salvo il potere di acquisizione sanante in capo alla P.A., non ripropone lo schema processuale previsto dal comma 2 dell’originario art. 43, che attribuiva all’Amministrazione la facoltà e l’onere di chiedere la limitazione alla sola condanna risarcitoria ed al giudice il potere di escludere senza limiti di tempo la restituzione del bene, con il corollario dell’obbligatoria e successiva emanazione dell’atto di acquisizione. 
9.5. L’art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001 conserva il potere discrezionale dell’Amministrazione di disporre l’acquisizione sanante (Cons. Stato, IV, 16.3.2012, n.1514): l’art.42-bis infatti regola i rapporti tra potere amministrativo di acquisizione in sanatoria e processo amministrativo di annullamento, in termini di autonomia, consentendo l’emanazione del provvedimento dopo che “sia stato annullato l'atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all'esproprio, l'atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un'opera o il decreto di esproprio” od anche, “durante la pendenza di un giudizio per l'annullamento degli atti citati, se l'amministrazione che ha adottato l'atto impugnato lo ritira”.
9.6. L'art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001 non regola più invece i rapporti tra azione risarcitoria, potere di condanna del giudice e successiva attività dell’Amministrazione, sicché ove il giudice, in applicazione dei principi generali condannasse l’Amministrazione alla restituzione del bene, il vincolo del giudicato eliderebbe irrimediabilmente il potere sanante dell’Amministrazione (salva ovviamente l’autonoma volontà transattiva delle parti) con conseguente frustrazione degli obiettivi avuti a riferimento dal legislatore. 
9.7. La CEDU, quale ordinamento sovranazionale che lo Stato ha recepito, anche a fronte della sopravvenuta irreversibile trasformazione del suolo per effetto della realizzazione di un’opera pubblica astrattamente riconducibile al compendio demaniale necessario e nonostante l’espressa domanda in tal senso di parte ricorrente, esclude la possibilità di una condanna puramente risarcitoria a carico dell’Amministrazione, poiché una tale pronuncia postula l’avvenuto trasferimento della proprietà del bene, per fatto illecito, dalla sfera giuridica del ricorrente, originario proprietario, a quella della P.A. che se ne è illecitamente impossessata, esito, questo (comunque sia ricostruito in diritto: rinuncia abdicativa implicita nella domanda solo risarcitoria, ovvero accessione invertita), vietato dal primo Protocollo addizionale della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (cfr. T.A.R. Umbria, 22.10.2012, n.451; Cons. Stato, Sez. IV, 3 ottobre 2012 n. 5189).
9.8. Atteso che non può più essere azionato il meccanismo procedimentale accelerato previsto dal citato art. 43 d.P.R. n. 327/2001 (Cons. Stato, IV, 29.8.2012, n.4650) e che la realizzazione dell'opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato è in sé un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell'acquisto e come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà (Cons. Stato, IV, 29.8.2011, n.4833; 28.1.2011, n.676), deve ritenersi che l'Amministrazione possa divenire proprietaria o al termine del procedimento, che si conclude sul piano fisiologico con il decreto di esproprio o con la cessione del bene espropriando, oppure quando, essendovi una patologia per cui il bene è stato modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, viene emesso il decreto di acquisizione al patrimonio indisponibile ai sensi dell'art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001, indennizzando il proprietario per il mancato utilizzo del bene (5% di interesse annuo sul valore venale di ogni anno), per il lamentato danno patrimoniale (al valore venale attuale) e non patrimoniale (10% del valore venale attuale salvo casi particolari in cui è il 20%).
9.9. L’unico potenziale ostacolo al pieno esplicarsi della tutela restitutoria è costituito dall’esercizio, da parte dell’Amministrazione interessata, dello speciale “potere sanante” previsto dal citato art.42-bis come applicabile anche “a fatti anteriori” alla sua entrata in vigore in virtù dell’espressa previsione contenuta al comma 8 (cfr., al riguardo, T.A.R. Sardegna, 24.10.2012, n.874; Cons. Stato, n.5844/2011). 
9.10. Affinché l’interesse primario della parte lesa possa essere soddisfatto, deve imporsi all’Amministrazione – ove non provveda nel senso della possibile restituzione previa riduzione in pristino - di rinnovare, entro un congruo termine dal Giudice Amministrativo, la valutazione di attualità e prevalenza dell’interesse pubblico all’acquisizione dei beni per cui è causa, adottando un provvedimento col quale gli stessi siano acquisiti non retroattivamente al patrimonio indisponibile, prevedendo altresì che, entro un termine determinato sempre dal Giudice Amministrativo, al proprietario vengano corrisposti i valori dovuti e recando l’indicazione delle circostanze che hanno condotto all’indebita utilizzazione dell’area e la data dalla quale essa ha avuto inizio. Detto provvedimento dovrà essere notificato a parte proprietaria e comporterà il passaggio del diritto di proprietà sotto condizione sospensiva del pagamento delle somme dovute, ovvero del loro deposito effettuato ai sensi dell’art.20, comma 14, del D.P.R. n.327 del 2001, sarà soggetto a trascrizione presso la conservatoria dei registri immobiliari a cura dell’Amministrazione procedente e sarà trasmesso in copia all’ufficio istituito ai sensi dell’art. 14, comma 2, del D.P.R. n.327 del 2001, nonché comunicato, entro trenta giorni, alla Corte dei conti mediante trasmissione di copia integrale.
9.11. I termini, indicati dal Giudice Amministrativo per la conclusione del procedimento ex art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001, debbono ritenersi disposti nell’esclusivo interesse di parte ricorrente e possono essere aumentati su autorizzazione scritta da parte di questi. 

10. Sull'acquisto per usucapionem del bene illecitamente trasformato nell'ambito di un procedimento espropriativo non validamente concluso. Competenza del Giudice Amministrativo di decidere circa l'eccezione di intervenuta usucapione.
10.1. Nel caso di illecita trasformazione di un bene privato nell'ambito di un procedimento espropriativo non validamente concluso, deve ritenersi possibile l’usucapione da parte della Pubblica Amministrazione in presenza dei presupposti di cui all’art.1158 c.c. (possesso ininterrotto, non violento, non clandestino, da oltre un ventennio) ed alle condizioni di cui al D. Lgs. n.28/2010, con possibilità di un risparmio di spesa dovendosi corrispondere solo danno non patrimoniale e da mancato utilizzo (cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, 5.7.2012, n.1402). 
10.2. L’avvenuta usucapione estingue non solo ogni sorta di tutela reale spettante al proprietario del fondo ma anche quelle obbligatorie tese al risarcimento dei danni subiti poiché, retroagendo gli effetti dell’usucapione - quale acquisto a titolo originario – al momento dell’iniziale esercizio della relazione di fatto con il fondo altrui, “viene meno ab origine” il connotato di illiceità del comportamento della PA che occupava “sine titulo” il bene poi usucapito (cfr. Cons. Giust. Ammin., 14.1.2013, n.9).
10.3. Il Giudice Amministrativo è competente a decidere circa l'eccezione di intervenuta usucapione in materia espropriativa ricondotta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 34 del D. Lg. n.80/1998 ed oggi ai sensi dell'art.53 del T.U. espropriazioni (cfr. Tar Catania, II, 14.7.2009, n. 1283). 
10.4. Ove poi si ritenga che la pronuncia sull’usucapione non rientra nell’ambito rimesso alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, primo comma, lett g) c.p.a. in quanto la specifica questione non è riconducibile, anche mediatamente, all’esercizio del pubblico potere, si deve affermare che, se il giudice amministrativo può conoscere in via incidentale di tutte le questioni pregiudiziali relative a diritti ai sensi dell’art. 8 c.p.a. nelle materie in cui non ha giurisdizione esclusiva, a maggior ragione ne può conoscere alla stessa stregua nelle materie in cui ha giurisdizione esclusiva; al giudice ordinario, per contro, sono devolute tutte le controversie relative all’accertamento del possesso ventennale ininterrotto necessario per l’usucapione in quanto, ove l’interesse di parte ricorrente fosse da correlarsi unicamente al dedotto diritto di proprietà derivante dall’acquisto a titolo originario per intervenuta usucapione, sulla controversia deve pronunciarsi il giudice ordinario. 

11. Criteri di liquidazione del danno nel caso di illecita trasformazione di beni privati nell'ambito di un procedimento espropriativo non validamente concluso.
11.1. Quando si accerta l’illegittimità dell’operato dell’Amministrazione e la rilevanza nel giudizio dei principi quali desumibili dal menzionato art.42-bis, l’accoglimento del ricorso e la condanna dell’Ente al risarcimento pongono il problema dell’eventuale applicazione dell’art.5-bis del D.L. n.333 del 1992, convertito in Legge n.359 del 1992; al riguardo occorre precisare che, con riguardo al comma 7-bis di tale articolo come introdotto dall’art.3, comma 65, della Legge n.662 del 1996, la Corte Costituzionale di recente (24.10.2007, n.349) ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale in quanto non prevederebbe un ristoro integrale del danno subito per effetto dell’occupazione acquisitiva da parte della Pubblica Amministrazione, corrispondente al valore di mercato del bene occupato, dunque in contrasto con gli obblighi internazionali sanciti dall’art.1 del Protocollo addizionale alla CEDU e con lo stesso art.117, primo comma, Cost. 
11.2. Quanto alla misura dell’indennizzo, nella giurisprudenza della Corte europea (29.3.2006, Scordino) è ormai costante l’affermazione secondo cui “una misura che costituisce interferenza nel diritto al rispetto dei beni deve trovare il giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e le esigenze imperative di salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo”, non potendosi garantire in tutti i casi il diritto dell’espropriato al risarcimento integrale in quanto obiettivi legittimi di pubblica utilità possono giustificare un rimborso inferiore al valore commerciale effettivo. In ogni caso la liquidazione del danno per l’occupazione acquisitiva stabilita in misura superiore a quella stabilita per l’indennità di espropriazione, ma in una percentuale non apprezzabilmente significativa, non permette di escludere la violazione del diritto di proprietà come garantito dalla norma convenzionale. 
11.3. Il danno subito da parte ricorrente va dunque liquidato tenendo conto non della rendita catastale quale è un mero valore fiscale impresso dall’Amministrazione agli immobili a meri fini tributari, bensì del valore di mercato (o venale) del bene ablato, da determinarsi attraverso la valutazione delle caratteristiche intrinseche dell’immobile e delle sue eventuali potenzialità edificatorie, la verifica dei prezzi risultanti da atti di compravendita di immobili finitimi con analoghe caratteristiche ed il valore accertato dal Ministero delle Finanze rivalutato alla data dell’irreversibile trasformazione, mentre sulla somma così determinata andranno calcolate la rivalutazione monetaria e gli interessi al tasso legale. 

12. Sul ristoro del danno non patrimoniale nell'ipotesi di illecita trasformazione di beni privati all'esito di procedimento espropriativo non validamente concluso.
12.1. Quanto al danno non patrimoniale, premesso che le disposizioni di cui al comma 1 del citato art.42-bis d.P.R. n. 327/2001 sono rivolte non al giudice bensì all’Amministrazione che procederà o meno alla liquidazione dell’indennizzo per il pregiudizio non patrimoniale subito – mentre il giudice potrà valutare la legittimità dell’attività amministrativa solo ex post ove sia chiamato a sindacare l’operato della P.A., esso è risarcibile (Cons. Stato, IV, 9.1.2013, n.76; Cass. Civ., SS. UU., 11.11.2008, n.26972) nei soli casi “previsti dalla legge” e cioè, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art.2059 c.c.:
a) quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato (in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di qualsiasi interesse della persona tutelato dall'ordinamento, ancorché privo di rilevanza costituzionale); 
b) quando ricorra una delle fattispecie in cui la legge espressamente consente il ristoro del danno non patrimoniale anche al di fuori di un’ipotesi di reato (ad es. nel caso di illecito trattamento dei dati personali o di violazione delle norme che vietano la discriminazione razziale); in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione dei soli interessi della persona che il legislatore ha inteso tutelare attraverso la norma attributiva del diritto al risarcimento (quali, rispettivamente, quello alla riservatezza od a non subire discriminazioni); 
c) quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale; in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di tali interessi che, al contrario delle prime due ipotesi, non sono individuati "ex ante" dalla legge, ma dovranno essere selezionati caso per caso dal giudice. 
12.2. Nelle ipotesi in cui venga domandato dal privato il ristoro del danno non patrimoniale conseguente all'illecita trasformazione di un bene in conseguenza di un procedimento espropriativo non validamente concluso, occorrerà verificare la sussistenza di un pregiudizio non patrimoniale derivante da attività o comportamenti illegittimi o illeciti della P.A., a ciò provvedendo il giudice in quanto ne venga investito a domanda di parte atteso che il diritto al risarcimento del danno è un diritto disponibile.

13. Detraibilità dalle somme liquidate ex art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001 delle somme eventualmente già erogate a titolo di indennizzo.
Ai sensi dell’ultima parte del secondo comma dell’art.42-bis d.P.R. n. 327/2001, le somme eventualmente già erogate al proprietario a titolo di indennizzo, maggiorate dell’interesse legale, devono essere detratte da quelle dovute ai sensi del nuovo atto. 

14. Ristoro dei pregiudizi patiti dal proprietario di bene illecitamente trasformato nel periodo di occupazione sine titulo.
Ove invece venga disposta l’acquisizione ai sensi dell'art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001, atteso che ai sensi del comma 3 della stessa norma l’indennizzo deve tener conto della misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità - mentre se l’occupazione riguarda un terreno edificabile occorre aver riguardo ai commi 3, 4, 5, 6 e 7 dell’art.37, andrà risarcito il danno relativo al periodo della utilizzazione senza titolo, nonché l’importo spettante in base alle vigenti disposizioni oltre interessi moratori. Per il periodo di occupazione illegittima il danno da risarcire deve essere forfettariamente determinato nella misura fissa dell’interesse del 5% annuo sul valore venale del bene.

T.A.R. Campania Napoli, Sez. 5, 28 dicembre 2013, n. 06048
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