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Tutela paesaggistica dei boschi

BENI CULTURALI E PAESAGGISTICI AGRICOLTURA E FORESTE

Sui limiti entro cui un arboreto può ritenersi un vero e proprio “bosco”, il cui taglio richieda pertanto la previa autorizzazione paesaggistica
Cons. St., Sez. 6, Sentenza 29 marzo 2013, n. 01851

Principio

1. Sulla impossibilità di procedere all’autorizzazione paesaggistica in sanatoria nel caso di interventi non edilizi di alterazione di territori coperti da foreste e da boschi.
1.1. Ai sensi dell’art. 142, comma 1, lett. g), D.Lgs. n. 42 del 2004, sussiste il vincolo paesaggistico nei riguardi dei “territori coperti da foreste e da boschi […] come definiti dall'articolo 2, commi 2 e 6, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227”; la presenza di un bosco, pertanto, rende necessaria la previa autorizzazione paesaggistica per procedere al taglio di alberi.
1.2. Non si può far luogo all’autorizzazione paesaggistica in sanatoria nel caso di interventi non edilizi di alterazione di territori coperti da foreste e da boschi, a ciò ostando l’art. 146, comma 4, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) sul divieto di autorizzazione paesaggistica in sanatoria fuori dai casi di cui all’articolo 167, commi 4 e 5, sugli abusi minori a carattere edilizio.

2. Sui limiti entro cui un arboreto può ritenersi un vero e proprio “bosco”, il cui taglio richieda pertanto la previa autorizzazione paesaggistica.
2.1. Quella di bosco è una nozione di ordine sostanziale, per la cui operatività in concreto non è necessario un previo atto amministrativo di ricognizione e perimetrazione, va rilevato che la nozione di “bosco” richiamata ai fini della tutela paesaggistica dall’art. 142 è in principio normativa, perché fa espresso rinvio alla “definizione di bosco” dell’art. 2 d.lgs. 18 maggio 2001, n. 227 (Orientamento e modernizzazione del settore forestale, a norma dell’articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57), che (comma 2) demanda alle regioni di stabilire la definizione stessa e che (comma 6) nelle more, “ove non diversamente già definito dalle regioni stesse”, prevede cosa si debba considerare per “bosco”.
2.2. Quando si verte di tutela del paesaggio, è essenziale considerare che il rinvio alla definizione normativa, che è propria del distinto ordinamento del settore forestale, è sottoposto all’insuperabile limite di ragionevolezza e di proporzionalità rispetto alla finalità propria di questa tutela (diversamente, l’apparato autorizzatorio e sanzionatorio del paesaggio verrebbe incongruamente traslato ad apparato autorizzatorio e sanzionatorio dell’interesse forestale: così in particolare dicasi per gli interventi di distruzione o di “modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione” ai sensi dell’art. 146). Come altri vincoli “morfologici” del medesimo art. 142 d.lgs. n. 42 del 2004, questo vincolo per categoria legale muove dalla considerazione che foreste e boschi sono presunti di notevole interesse e meritevoli di salvaguardia perché elementi originariamente caratteristici del paesaggio, cioè del “territorio espressivo di identità” (art. 131) (cfr. Cons. Stato, VI, 12 novembre 1990, n. 951). Per questa ragione ne sono esclusi gli insiemi arborati che non costituiscono elementi propri e tendenzialmente stabili della forma del territorio, quand’anche di imboschimento artificiale; ma che rispetto ad essa costituiscono inserti artefatti o naturalmente precari. Al tempo stesso, va considerato che “foreste e boschi” sono a questi propositi evidentemente altro da “i giardini e i parchi […] che si distinguono per la loro non comune bellezza” e non tutelati come beni culturali individui, di cui parla il precedente e contestuale art. 136, comma 1, lett. b), a proposito dei beni paesaggistici che possono essere vincolati in via amministrativa (non vi sarebbe ragione di un vincolo in via amministrativa se già vi fosse il vincolo ex lege).
2.3. Per riconoscere ai fini dell’art. 142 del Codice dei beni culturali e del paesaggio la presenza di un bosco occorre un terreno di una certa estensione, coperto con una certa densità da “vegetazione forestale arborea” e - tendenzialmente almeno - da arbusti, sottobosco ed erbe. Questa copertura, per rispondere ai detti caratteri, deve costituire un sistema vivente complesso (non perciò caratterizzato da una monocoltura artificiale), di apparenza non artefatta (come ad es. se a filari). Deve inoltre essere tendenzialmente permanente: perciò non solo non destinato all’espianto o alla produzione agricola, ma anche, in virtù del dato naturale, mediamente presumibile come capace di autorigenerarsi perché dotato di risorse tali da consentirne il rinnovamento spontaneo, caratteristica che la norma regionale richiamata contiene nell’ampio concetto di “densità piena”, dove la “pienezza” della massa boschiva sta non solo a significare il livello di copertura del suolo, ma anche ad evocare la naturale capacità di rigenerazione o rinnovazione. Il bosco è un complesso organismo vivente, nel quale le nuove risorse sono in grado di sostituire spontaneamente quelle in via di esaurimento. Non è quindi sufficiente la presenza di piante, quand’anche numerose, ma non strutturate fino a sviluppare un ecosistema in grado di autorigenerarsi.
2.4. Deve escludersi che possa attagliarsi, ai fini paesaggistici, la definizione di bosco, difettandone la morfologia, la complessità e la vitalità endogena e compiuta, all’insediamento arboreo che, in base ai risultati della verificazione disposta nel corso del giudizio di primo grado, evidenzi la presenza di una copertura arborea artificiale con carattere quasi integrale di monocultura (pino domestico), disposta per filari paralleli (cioè in modo innaturale), priva di strato arbustivo ed erbaceo; e nella quale lo stato fitosanitario degli elementi arborei è del tutto scadente, con chioma rarefatta, con visibile presenza di miceli di parassiti fungini.

Cons. St., Sez. 6, 29 marzo 2013, n. 01851
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