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Sospensione e interruzione del processo

Giustizia amministrativa

Sull’istituto dell’estinzione e della riassunzione del giudizio per sopravvenuto fallimento di una delle parti in causa. Applicabilità del dimidiamento dei termini processuali ex art. 119 c.p.a. ai provvedimenti di secondo grado. Esclusione del dimidiamento dei termini processuali alle controversie risarcitorie
T.A.R. Abruzzo L'Aquila, Sez. 1, Sentenza 8 giugno 2013, n. 00545

Principio

1. Sull’istituto dell’estinzione e della riassunzione del giudizio per sopravvenuto fallimento di una delle parti in causa.
1.1. L’art. 43 della legge fallimentare, come modificato dal decreto legislativo 5/2006, dispone all’ultimo comma che “l’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo”, disposizione quest’ultima pacificamente interpretata nel senso che il fallimento della parte provoca in modo automatico ed implicito la detta interruzione, senza necessità di dichiarazione in giudizio o di notificazione alle parti dell’evento (cfr. SSUU n. 7443/2008); è stato così introdotto un meccanismo estintivo che ha innovato il precedente sistema, basato sull’art. 300 c.p.c. che, nel caso di fallimento della parte costituita, faceva conseguire l’interruzione dalla dichiarazione in giudizio, ovvero dalla notificazione dell’evento da parte del procuratore costituito per la fallita.
1.2. A seguito di fallimento della parte costituita in giudizio, quanto alle modalità di riassunzione, la novella introdotta dalla legge 18 giugno 2009 n. 69 all’art. 305 cpc ha determinato la seguente attuale versione di tale norma (intitolata: mancata prosecuzione o riassunzione): “Il processo deve essere proseguito o riassunto entro il termine perentorio di tre mesi dall'interruzione, altrimenti si estingue” (precedentemente il termine era di sei mesi, così che la riforma ne ha comportato il dimezzamento). La disposizione è chiara nello stabilire, non solo il nuovo spatium temporis per riassumere il giudizio, ma anche il suo dies a quo, che continua a decorrere fatalmente dal momento interruttivo (qui l’art. 305 c.p.c. ha conservato infatti il suo originario lessico).
1.3. L’art. 305 c.p.c. deve intendersi conformato nel senso che il termine utile per la prosecuzione o per la riassunzione del processo interrotto può decorrere solo dall’effettiva conoscenza dell’evento interruttivo automatico di cui agli artt. 299 e 301 c.p.c. (cfr. Corte Costituzionale sentenze di accoglimento n. 139/1967 e 159/1967). È peraltro da notare che il legislatore, nonostante tali pronunce costituzionali, ha ritenuto di lasciare il testo della norma nella versione originaria, che argomenta tout court di decorrenza dei termini dall’evento interruttivo.
1.4. Con sentenza n. 17/10, la Corte Costituzionale ha osservato che l’art. 305 c.p.c. – nella parte in cui prevede che il termine di riassunzione decorra tout court dall’evento interruttivo- non è applicabile alla parte estranea alla procedura che ha determinato tale evento, trattandosi di un principio valido anche per la materia fallimentare, una volta intervenuto l’automatismo estintivo ad opera della citata novella del 2006. In particolare è stata in quella sede evidenziata l’esigenza, sottesa all’istituto dell’interruzione, “…di tutelare anche il diritto di difesa della parte cui il fatto interruttivo non si riferisce; essa, quindi, deve essere in grado di conoscere se si sia o meno verificato l’evento interruttivo e, in caso positivo, deve essere posta nelle condizioni di sapere da quale momento decorre il termine semestrale per la riassunzione (ora trimestrale, per effetto dell’entrata in vigore della legge 18 giugno 2009, n. 69, omissis)”. La Corte, ribadendo un proprio consolidato orientamento riguardante le ipotesi di interruzione automatica, ha altresì affermato il principio secondo il quale, nelle suddette ipotesi, il termine per effettuare la riassunzione del processo interrotto, di cui all’art. 305 c.p.c., ha decorrenza diversa a seconda che si faccia riferimento alla parte colpita dall’evento interruttivo (la quale è a conoscenza della sua esistenza sin dal momento di verificazione del medesimo) ovvero all’altra parte. Nel primo caso il termine decorre dalla realizzazione dell’evento; nel secondo dal momento in cui la parte ne viene a conoscenza (cfr. T.A.R. Lombardia sent. n. 762/2013).
1.5. Nel comma 2 dell’art. 79 c.p.a. si esplicita il principio generale, secondo cui l’interruzione del processo è disciplinata (in primis per le sue tempistiche) dalle disposizioni del codice di procedura civile; tale rinvio va ovviamente inteso in senso estensivo, comprendendo pertanto le varie discipline speciali civilistiche che parimenti regolano l’interruzione processuale come quella del fallimento (ivi comprese dunque le novelle del 2006 e del 2009). Del resto l’art. 43 della legge fallimentare, nel disporre all’ultimo comma, dopo la novella del 2006, che “l’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo”, non si riferisce al solo processo civile, così che la disposizione può senz’altro comunque ritenersi applicabile anche al giudizio amministrativo, a prescindere dalla citata norma di rinvio ex art. 79 comma 2, cod. proc. amministrativo.
1.6. L’art. 80, comma 2, c.p.a. regola gli oneri di riassunzione della parte nei cui confronti si è verificato l’evento interruttivo, vale a dire della parte colpita dal fallimento. In tale evenienza, nulla il legislatore ha inteso aggiungere rispetto alle tempistiche già previste dalla citata disciplina processual-civilistica in virtù del rinvio ex art. 79, comma 2, c.p.a., essendosi limitato solo a specificare che l’atto di riassunzione (da formalizzare quindi entro 90 giorni, decorrenti sempre e comunque dalla data di interruzione) può operarsi mediante nuova istanza di fissazione di udienza (alla quale ovviamente non restano applicabili le diverse regole previste dal codice all’art. 71 c.p.a. a proposito dell’ordinario regime di impulso processuale).
1.7. Il comma 3° dell’art. 80 c.p.a. si riferisce alle ipotesi di riassunzione ad iniziativa e nell’interesse delle parti rimaste estranee all’evento interruttivo; in conformità al diritto vivente della materia processual-civilistica (come scaturito dai ripetuti interventi della Corte Costituzionale), il comma 3° dell'art. 80 c.p.a. ha inteso esplicitamente sottolineare che il termine perentorio di novanta giorni previsto dall’art. 305 c.p.c. trova decorrenza (solo) “…dalla conoscenza legale dell'evento interruttivo, acquisita mediante dichiarazione, notificazione o certificazione”, al contrario del dies a quo rigidamente ancorato a quell’evento, quando la riassunzione sia chiesta dalla parte colpita dall’evento. Il delineato assetto del codice del processo amministrativo riprende pertanto i coevi contenuti della pronuncia 17/10 della Corte Costituzionale, secondo cui il termine per effettuare la riassunzione del processo interrotto, di cui all’art. 305 c.p.c., decorre dalla realizzazione dell’evento per la parte che ne è colpita (la quale è a conoscenza della sua esistenza sin dal momento di verificazione del medesimo), ovvero decorre dal momento in cui le altre parti ne vengono aliunde a conoscenza.
1.8. Il delineato regime, ex artt. 79 e 80 c.p.a., si presenta peraltro ineccepibile sul versante costituzionale, anche in relazione alla decorrenza automatica dei termini di riassunzione ex art. 305 c.c. per il soggetto colpito dal fallimento, atteso che la ditta fallita è ovviamente ben a conoscenza delle sue sorti, così che i suoi legali che la difendono nei contenziosi in corso devono presumersi informati “in tempo reale” sui riverberi estintivi (per ogni causa di rispettiva conduzione) determinati dalla sopravvenuta dichiarazione di fallimento; né eventuali ritardi di comunicazione fra tali legali e la curatela possono essere valida ragione per eccepire l’incostituzionalità della norma, e neanche per invocare l’errore scusabile, trattandosi di negligenze piuttosto evidenti, interne all’organizzazione del soggetto chiamato ad attivarsi per il rispetto di termini perentori, con conseguenze negative correttamente inquadrabili nel cd. “imputet sibi”.

2. (segue): sulla dimidiazione dei termini ex art. 119 c.p.a. per la riassunzione del processo in caso di fallimento di una delle parti. Nel caso di provvedimenti di secondo grado.
Sulla durata (ordinariamente) trimestrale del termine per la riassunzione, va poi considerata la dimidiazione prevista dall’art. 119 CPA, in relazione ai provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture, ivi compresi i provvedimenti di secondo grado quali, la revoca di aggiudicazione, che eventualmente la stazione appaltante dovesse adottare, ripensando in autotutela le concludenze di gara in un primo tempo deliberate. 

3. (segue): nel caso di domande risarcitorie.
Il dimezzamento dei termini processuali ex art. 119 c.p.a. si applica ai soli giudizi impugnatori aventi ad oggetto i provvedimenti relativi alle procedure di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di opere pubbliche e non anche alle controversie relative alle sole domande risarcitorie proposte in relazione a tali procedure (Cons. St., Sez. V, sent. n. 966/2013; nello stesso senso: Sez. VI, 23.6.2006, n. 3891; Sez. V, 2.9.2005, n. 4461; nonché Cons. Stato, Ad. Plen., 30.07.2007, n. 9).

T.A.R. Abruzzo L'Aquila, Sez. 1, 8 giugno 2013, n. 00545
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