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Servizi pubblici locali

Servizi pubblici Contratti pubblici Concorrenza

1. Ricorso giurisdizionale. Concessione di servizi pubblici. Affidamento. Annullamento in via di autotutela. Rito applicabile. È quello speciale in materia di commesse pubbliche. 2. Ricorso giurisdizionale. Tardività. Errore scusabile. Concessione. Presupposti. Dovere di cooperazione ricadente sulla PA. Violazione per errata indicazione del termine per impugnare. Scusabilità dell'errore. Sussiste. 3. Autorità Garante della concorrenza e del mercato. Poteri sugli atti amministrativi che determinano distorsioni della concorrenza. Legitimatio ad causam. 4. (segue): Parere motivato. Termine di adozione. Se mira a sollecitare la pubblica amministrazione a rivedere le proprie determinazioni: è sollecitatorio. Se costituisce il presupposto dell’avvio di una fase pre-contenziosa: è perentorio. 5. Servizi pubblici locali. Individuazione dei confini delle attività dei Comuni. Spetta ai Comuni. Criterio oggettivo di individuazione di servizi pubblici. Gestione di impianti sportivi. È servizio pubblico. Affidamento in deroga ai principi di derivazione comunitaria. Non ammissibilità. Superamento del precedente orientamento del GA. Necessità. 6. (segue): servizi pubblici locali. Modello organizzativo originario: regime di riserva originaria. In forma diretta (aziende speciali) o in forma indiretta (enti pubblici economici). Individuazione di servizio pubblico. Criterio residuale, i.d. soggettivo: attività diverse da funzioni pubbliche di cui è titolare la P.A. 7. (segue): evoluzione della nozione di servizio pubblico. Imputabilità di esso alla PA. Sufficienza. Gestione da parte di privati. Ammissibilità. Presupposto. Atto concessorio. Ulteriore evoluzione: affidamento a privati con mantenimento di poteri soltanto regolatori in capo alla PA. 8. (segue): servizi aventi rilevanza economica e servizi non economici. Distinzione. Servizio di interesse economico generale. Nozione comunitaria. 9. (segue): assimilabilità della nozione di servizio pubblico locale a quella di servizio pubblico di interesse generale. 10. (segue): affidame
T.A.R. Lazio Roma, Sez. 2Q, Sentenza 1 settembre 2014, n. 09264

Principio

1. Ricorso giurisdizionale. Concessione di servizi pubblici. Affidamento. Annullamento in via di autotutela. Rito applicabile. È quello speciale in materia di commesse pubbliche.
1.1. Il ricorso avverso atti di autotutela concernenti affidamento di concessione di servizi, va ricondotto al c.d. rito speciale degli appalti sia perché le procedure ad evidenza pubblica debbono essere rispettate, nei limiti indicati dal decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163 ed in particolare nell’art. 30 di detto Codice, con riferimento all’affidamento di concessioni di servizi sia perché anche gli atti di autotutela che rimuovono precedenti provvedimenti di affidamento ricadono nell’ambito di applicazione dell’art. 120 c.p.a.
1.2. Il termine dimidiato per la notifica dei ricorsi per l'impugnazione giurisdizionale degli atti delle procedure di affidamento relative a pubblici lavori, servizi o forniture è applicabile anche agli atti di autotutela che abbiano come bersaglio i provvedimenti assunti nel corso di una procedura di affidamento relativa a pubblici lavori, servizi e forniture. 
1.3. Va affermata la sussumibilità nella sfera di applicazione della normativa processuale, dettata dalle prescrizioni di cui all’art. 120, comma 5, c.p.a., dei contenziosi aventi ad oggetto la impugnazione di atti di autotutela connessi allo svolgimento di procedure che rispettano le norme nazionali e comunitarie in materia di affidamento di commesse pubbliche (cfr., fra le tante, Cons. Stato, Sez. V, 8 novembre 2012 n. 5681 e Cons. Stato, Sez. VI, 5 dicembre 2013 n. 5806, per quanto concerne la estensione della disciplina processuale di cui all’art. 120, comma 5, c.p.a. agli affidamenti di concessioni di servizi). Sotto il profilo lessicale, se il rito speciale riguarda gli "atti delle procedure di affidamento" di contratti pubblici, appare logico che nel suo ambito di applicazione venga ricompreso non solo il provvedimento che aggiudica un contratto pubblico, ma anche il "contrarius actus" che ne dispone la revoca o l’annullamento. Dal punto di vista sostanziale deve, poi, essere rilevato che anche in caso di esercizio da parte dell'amministrazione dell'autotutela o comunque del recesso precontrattuale, sussistono le stesse esigenze di celerità che sono sottese alle disposizioni che regolamentano, in modo peculiare rispetto agli altri processi, il rito sulle procedure di affidamento dei contratti pubblici al fine di una celere definizione delle relative controversie e di una sollecita definizione dei sottesi rapporti giuridici. 

2. Ricorso giurisdizionale. Tardività. Errore scusabile. Concessione. Presupposti. Dovere di cooperazione ricadente sulla PA. Violazione per errata indicazione del termine per impugnare. Scusabilità dell'errore. Sussiste.
2.1. Ai fini dello scrutinio circa la tempestività della proposizione del gravame avverso atto di autotutela di affidamento di concessione di servizi nel termine ordinario di 60 giorni anziché in quello dimidiato applicabile ex art. 120 c.p.a, assume rilievo sia la circostanza che l’amministrazione abbia dapprima rilasciato in favore del ricorrente la concessione di servizi senza procedere ad alcuna selezione pubblica e che, analogamente, aveva “recta via” rinnovato la medesima concessione per un ulteriore periodo di tempo, sia la circostanza che l’atto impugnato testualmente indichi la facoltà di ricorso dinanzi al Giudice Amministrativo nel termine di sessanta giorni dal ricevimento dell'atto. In tale contesto, sussistono elementi che ineludibilmente impongono l’applicazione dell’art. 37 c.p.a. riconoscendo in ogni caso alla parte ricorrente l’errore scusabile. 
2.2. L'errore scusabile rappresenta un istituto inteso a garantire l'effettività della tutela giurisdizionale, suscettibile di trovare applicazione sia quando siano ravvisabili situazioni di obiettiva incertezza normativa, connesse a difficoltà interpretative o ad oscillazioni giurisprudenziali, sia quando si sia di fronte a comportamenti, indicazioni o avvertenze fuorvianti provenienti dalla medesima Amministrazione, da cui possa conseguire difficoltà nella domanda di giustizia ed un'effettiva diminuzione della tutela giustiziale. Il riconoscimento dell'errore scusabile può avvenire solo previo rigoroso accertamento, caso per caso, dei presupposti e, quindi, ex art. 37 del c.p.a., in presenza di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto. 
2.3. La PA, che indichi nei propri provvedimenti un termine per impugnare in sede giurisdizionale diverso da quello di legge,  viola l'art. 3, comma 4, della legge 7 agosto 1990 n. 241, secondo cui in ogni atto notificato al destinatario devono essere indicati (correttamente) il termine e l'autorità alla quale è possibile ricorrere, atteso che nel caso di specie non sarebbe stato indicato in modo corretto il termine per impugnare l’atto. Detta violazione di legge, pur non comportando un vizio del procedimento e l'illegittimità dell'atto, è invece idonea a determinare la scusabilità dell'errore del destinatario circa il rispetto del termine di impugnazione dell'atto stesso. 
2.4. Nell'ipotesi in cui l'amministrazione, venendo meno al dovere di cooperazione previsto dall'art. 3, comma 4, della legge n. 241 del 1990, ometta di indicare nel provvedimento rivolto al privato i termini entro i quali ricorrere (e ciò, parimenti ed ovviamente, vale anche laddove detto termine sia stato indicato in modo sbagliato), sussiste il presupposto per il riconoscimento dell'errore scusabile in sede processuale ove, nel singolo caso, sia rilevabile una giustificata incertezza sugli strumenti di tutela utilizzabili da parte del destinatario dell'atto nonché sui tempi della loro proponibilità (cfr., per tutte, Cons. Stato, Ad. pl., 14 febbraio 2001 n. 2).
2.5. Qualora un atto amministrativo indichi, come richiesto dall'art. 3, comma 4, della legge n. 241 del 1990, il termine e l'autorità cui è possibile ricorrere, ma lo faccia in modo erroneo, l'interessato che lo impugni entro quel termine e davanti al giudice indicati incorre in errore scusabile (cfr. Cass., Sez. un., 29 aprile 2009,n. 9947). È quindi doveroso ritenere scusabile l'errore del ricorrente che impugni un provvedimento amministrativo oltre il termine di decadenza, ove esso errore trovi radice nell'errata indicazione del termine contenuta nel provvedimento impugnato (cfr., ancora, Cons. Stato Sez. VI, 16 giugno 2003 n. 3384 e Sez. IV, 7 settembre 2000 n. 4725) e ove la corretta durata del termine non sia univocamente desumibile dalla normativa vigente (cfr., sul punto specifico, Cons. Stato, Sez. VI, 18 ottobre 2000 n. 5605).

3. Autorità Garante della concorrenza e del mercato. Poteri sugli atti amministrativi che determinano distorsioni della concorrenza. Legitimatio ad causam. 
3.1. Il comma 1° dell’art. 21-bis della legge n. 287 del 1990, aggiunto dall’art. 35, comma 1, del decreto legge n. 201 del 2011, convertito con modificazioni nella legge n. 214 del 2011, rubricato "Poteri dell'Autorità Garante della concorrenza e del mercato sugli atti amministrativi che determinano distorsioni della concorrenza", attribuisce una peculiare “legitimatio ad causam” all'Autorità nei confronti degli atti amministrativi generali, dei regolamenti e dei provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato, in tal modo evidenziando la natura di speciale interesse pubblico generale della tutela della concorrenza e del mercato, quale condizione essenziale per l'ordinato sviluppo economico e sociale e per il progresso della collettività, in armonia del resto con i principi comunitari. 
3.2. È coerente con il bene giuridico protetto dal comma 1° dell’art. 21-bis della legge n. 287 del 1990 (la libertà di concorrenza ed il corretto funzionamento del mercato) e con le finalità che con esse si intende perseguire (la crescita e lo sviluppo economico) la previsione che l'accertamento della violazione delle norme in questione e il loro ripristino, per un verso, trascenda l'interesse specifico del singolo operatore del mercato e sia pertanto sottratto alla libera disponibilità dell'interessato (il che giustifica la disposizione nella parte in cui ammette sostanzialmente una legittimazione ad agire concorrente, dell'Autorità e dei singoli interessati, quanto ai provvedimenti lesivi del predetto bene giuridico), e, per altro verso, la tutela debba avviarsi per quanto possibile immediatamente, in tal modo dovendo essere intesa la legittimazione ad agire dell'Autorità nei confronti dei regolamenti e dei provvedimenti generali (atti che, secondo i principi generali, in quanto in genere non immediatamente lesivi, possono essere impugnati solo unitamente ai provvedimenti di cui costituiscono applicazione).

4. (segue): Parere motivato. Termine di adozione. Se mira a sollecitare la pubblica amministrazione a rivedere le proprie determinazioni: è sollecitatorio. Se costituisce il presupposto dell’avvio di una fase pre-contenziosa: è perentorio.
4.1. Il comma 2° dell’art. 21-bis della legge n. 287 del 1990, coerentemente con il principio di legalità predicato dall’art. 97 Cost., cui è improntata tutta l'attività della pubblica amministrazione, disciplina (e delimita, procedimentalizzandolo) il potere attribuito alla Autorità in relazione agli atti amministrativi generali, ai regolamenti e ai provvedimenti amministrativi, dalla stessa ritenuti violativi delle norme a tutela della concorrenza e del mercato. Secondo l'intenzione del legislatore, così come si ricava dall'esame della norma, il fondamentale e innovativo ruolo attribuito all'Autorità circa il controllo sull'effettivo ed efficace dispiegarsi della libertà della concorrenza e del mercato impone che il potere di agire in giudizio contro gli atti lesivi di tali principi sia preceduto da una fase pre-contenziosa, caratterizzata dall'emissione, da parte dell'Autorità, di un parere motivato rivolto alla pubblica amministrazione, parere in cui ragionevolmente sono segnalate le violazioni riscontrate e sono indicati i rimedi per eliminarli e ripristinare il corretto funzionamento della concorrenza e del mercato.
4.2. Il parere motivato reso dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato ai sensi del comma 2° dell’art. 21-bis della legge n. 287 del 1990 si sviluppa in due direzioni diverse tra di loro:
i) per un verso l’espressione del parere ha natura puramente amministrativa e mira innanzitutto a sollecitare la pubblica amministrazione a rivedere le proprie determinazioni e a conformarsi agli indirizzi dell'Autorità, attraverso uno speciale esercizio del potere di autotutela giustificato proprio dalla particolare rilevanza dell'interesse pubblico in gioco, in tal modo auspicando che la tutela di quest'ultimo sia assicurata innanzitutto all'interno della stessa pubblica amministrazione e restando pertanto il ricorso all'autorità giudiziaria amministrativa la “extrema ratio” (non essendo stata d'altra parte dotata l'Autorità di poteri coercitivi nei confronti dell'amministrazione pubblica che non intenda conformarsi al predetto parere motivato);
ii) sotto altro e diverso profilo il parere costituisce il presupposto dell’avvio di una fase pre-contenziosa la cui realizzazione, tenuto conto delle espressioni recate nel primo comma della norma in esame, costituisce l’indefettibile momento prodromico per l’insorgere della “legittimatio ad causam” in capo all’Autorità. D’altro canto, la fase pre-contenziosa, che prende le mosse dall’espressione del parere, in coerenza con i principi comunitari, è stata anche ragionevolmente concepita, oltre che a presupposto per la successiva fase giurisdizionale, come significativo strumento di deflazione del contenzioso, potendo ammettersi che il legislatore guardi con disfavore le situazioni in cui due soggetti pubblici si rivolgano direttamente (ed esclusivamente) al giudice per la tutela di un interesse pubblico.
4.3. In via generale, il termine per l’adozione ex comma 2° dell’art. 21-bis della legge n. 287/1990 del parere motivato da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato non ha natura perentoria, militando in questo senso la mancata indicazione delle espressioni “entro il termine perentorio di” ovvero “entro e non oltre il termine di” che debbono accompagnare nella formulazione della disposizione di legge la previsione introduttiva di un termine perentorio, eventualmente con la espressa prospettiva di una conseguenza per il mancato rispetto del termine. Detta interpretazione va sicuramente riferita all’ipotesi in cui il parere si limita a costituire una sorta di richiamo consultivo alla legittimità da parte dell’Autorità nei confronti della pubblica amministrazione, non seguendo ad esso alcun avvio di azione giurisdizionale da parte dell’Autorità medesima, ma residuando soltanto, scevro da condizionamenti coercitivi in ordine all’”an” (atteso che l’espressione del parere non è seguita da alcuna effettiva proposizione di ricorso in sede giurisdizionale da parte dell’Autorità), il potere discrezionale di intervento in autotutela da parte dell’amministrazione interessata.
4.4. Non ha carattere perentorio il termine per l’adozione ex comma 2° dell’art. 21-bis della legge n. 287/1990 del parere motivato da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, laddove l’Autorità non intenda proporre o non avvii alcun percorso giurisdizionale. Non vi è infatti alcuna ragione per considerare il termine di sessanta giorni indicato nel comma 2 dell’art. 21-bis quale termine perentorio, costituendo esso esclusivamente un presupposto consultivo e di riflessione per l’amministrazione circa la legittimità o meno dell’atto fatto oggetto dell’indagine dell’Autorità e quindi un intervento sollecitatorio all’esercizio del potere di autotutela senza alcuna incisione sull’ampia discrezionalità riconosciuta ordinariamente alle amministrazioni in merito all’esercizio del c.d. potere di ritiro e senza, dunque, che si presenti alcuna necessità di tutelare la certezza dei rapporti tra l’amministrazione e il soggetto destinatario dell’atto indagato dall’Autorità, tenendo conto che tale valore è già garantito dalla previsione recata dall’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 nella parte in cui impone che l’atto di annullamento d’ufficio sia adottato “entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati”.
4.5. Il termine per l’adozione ex comma 2° dell’art. 21-bis della legge n. 287/1990 del parere motivato da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha natura perentoria, laddove il parere costituisca il presupposto per l’avvio di una fase pre-contenziosa, prodromica alla proposizione del ricorso giurisdizionale da parte dell’Autorità (nel caso, dunque, in cui l’Autorità proponga effettivamente il ricorso in seguito al mancato esercizio, da parte dell’amministrazione coinvolta, del potere amministrativo di intervento in adempimento con quanto suggerito nel parere), atteso che l’ordinamento non può tollerare che in materie destinate a coinvolgere rilevanti e importanti interessi economici si mantenga a lungo l’incertezza in ordine alla composizione dei rapporti tra amministrazioni e soggetti privati coinvolti dall’attività amministrativa, di talché (solo) in tal caso non soltanto l’espressione del parere costituisce atto presupposto per l’ammissibilità del ricorso ma la procedimentalizzazione del passaggio dalla fase precontenziosa a quella contenziosa, minuziosamente regolamentata dal comma 2 del citato art. 21-bis (che prevede un doppio termine di sessanta giorni, il primo per l’espressione del parere da parte dell’Autorità ed il secondo per l’adempimento da parte dell’amministrazione), impone che al massimo entro 120 giorni dall’adozione del provvedimento, che ad avviso dell’Autorità evidenzia un comportamento contrastante con la disciplina della concorrenza e del mercato, decorre il termine di trenta giorni per la proposizione del ricorso da parte dell’Autorità medesima.

5. Servizi pubblici locali. Individuazione dei confini delle attività dei Comuni. Spetta ai Comuni. Criterio oggettivo di individuazione di servizi pubblici. Gestione di impianti sportivi. È servizio pubblico. Affidamento in deroga ai principi di derivazione comunitaria. Non ammissibilità. Superamento del precedente orientamento del GA. Necessità.
5.1. I Comuni hanno nel tempo esteso i confini della propria attività, quali ne siano le forme, dirette e indirette, di gestione (cfr. art. 13 D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267), spettando al singolo ente valutare quali siano le necessità della comunità locale e, nell'ambito delle compatibilità finanziarie e gestionali, avviare le politiche necessarie per soddisfarle, cosicché, al fine individuare i fini istituzionali di ogni singolo ente locale, risulta di particolare ausilio il riferimento al relativo statuto, nel cui ambito sono dettagliatamente indicate le finalità dell'azione amministrativa, oltre i fini istituzionali "tipici" che si sottintendono.
5.2. Sul piano oggettivo per pubblico servizio deve intendersi un'attività esercitata per erogare prestazioni volte a soddisfare bisogni collettivi ritenuti indispensabili in un determinato contesto sociale, compresi quelli aventi ad oggetto la gestione di impianti sportivi comunali (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 20 dicembre 2005 n. 5633).
5.3. La gestione di un impianto sportivo rientra, a pieno titolo, nell'area dei servizi alla persona, o dei servizi sociali (atteso che è indubbia ed universalmente riconosciuta l'importanza dello sport, inteso come pratica sportiva, ai fini dell'aggregazione sociale, della prevenzione delle malattie, della formazione dei giovani) e, ad oggi, la maggior parte degli impianti sportivi a disposizione dei cittadini è costituita da impianti di proprietà pubblica.
5.4. Nel caso di comuni montani a vocazione precipuamente turistica va ritenuto che l'attività di gestione degli impianti a fune, ed in particolare degli impianti sciistici, finalizzati allo sviluppo turistico del territorio, e quindi al suo sviluppo economico, debba essere agevolmente ricondotta tra quelle strettamente necessarie per il perseguimento delle finalità istituzionali del Comune ex art. 13 D.Lgs. n. 267/2000.
5.5. La gestione degli impianti sciistici, che si sostanzia in un fascio di prestazioni materiali direttamente erogate ad un numero indeterminato di beneficiari, appartiene, pertanto, all'insieme di quelle deputate a produrre beni e servizi strettamente necessari per il perseguimento della propria finalità istituzionale che risulta costituita dall'utilizzo del territorio per lo sviluppo economico della popolazione e della comunità, così come sancito dall'art. 13 D.Lgs. n. 267 del 2000 e realizza così compiutamente le forme di un servizio pubblico locale (cfr. T.A.R. Lazio, Sez. II, 5 ottobre 2011 n. 9012).
5.6. Ai fini della definizione della rilevanza economica del servizio sportivo è necessario distinguere tra servizi pubblici che si ritiene debbano essere resi alla collettività anche al di fuori di una logica di profitto d'impresa, cioè quelli che il mercato privato non è in grado o non è interessato a fornire, da quelli che, pur essendo di pubblica utilità, rientrino in una situazione di mercato appetibile per gli imprenditori in quanto la loro gestione consente una remunerazione dei fattori di produzione e del capitale e permette all'impresa di trarre dalla gestione la fonte della remunerazione, con esclusione di interventi pubblici. Nell'ambito di tale ultima categoria rientra la gestione degli impianti sportivi, compresa quindi la gestione degli impianti sciistici (cfr. T.A.R. Lazio, Sez. II, 5 ottobre 2011 n. 9012).
5.7. Dal comma 2-bis, inserito dall'articolo 1, comma 48, della legge 15 dicembre 2004 n. 308, dell'art. 113 D.Lgs. n. 267 del 2000, rubricato "Gestione delle reti ed erogazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica", un primo indirizzo giurisprudenziale ricavava con specifico riferimento agli impianti di trasporti a fune per la mobilità turistico-sportiva esercitati in aree montane che:
i) la gestione degli impianti sciistici dell’ente locale va qualificata in termini di servizio pubblico locale a rilevanza economica;
ii) la deroga all'applicazione della normativa contenuta negli altri commi dell'art. 113 D.Lgs. n. 267/2000 trova la sua esclusiva ratio nella naturale riconducibilità del servizio in questione nel novero dei servizi pubblici locali a rilevanza economica cui si riferisce la rubrica dell'articolo richiamato, dal momento che non avrebbe alcun senso, in caso contrario, la previsione della specifica deroga alla normativa esposta;
iii) le norme contenute nel testo dell'art. 113 D.Lgs. n. 267/2000, comprese quindi le norme che impongono il rispetto delle procedure ad evidenza pubblica per l'affidamento delle concessioni di servizi pubblici locali di rilevanza economica, non possono trovare applicazione relativamente agli impianti di sciistici dell’ente locale.

6. (segue): servizi pubblici locali. Modello organizzativo originario: regime di riserva originaria. In forma diretta (aziende speciali) o in forma indiretta (enti pubblici economici). Individuazione di servizio pubblico. Criterio residuale, i.d. soggettivo: attività diverse da funzioni pubbliche di cui è titolare la P.A.
6.1. In origine il modello originario di organizzazione dei servizi pubblici locali aveva due caratteristiche:
a) la prima era costituita dall'istituzione per legge di un regime di "riserva originaria" dell'attività a favore dello Stato, tale da escludere lo svolgimento di detti servizi da parte dei privati in regime di concorrenza;
b) la seconda era costituita dalla gestione del servizio in forma diretta, ossia tramite aziende speciali interne allo Stato o al Comune, e in forma indiretta, ossia per mezzo di enti pubblici economici.
6.2. Nella originaria dimensione, la nozione di servizio pubblico era determinata in base a un criterio residuale: ogni attività svolta dalle amministrazioni, che non fosse pubblica funzione, era pubblico servizio. L'elemento comune di queste attività, spesso tra di loro molto diverse, era l'elemento soggettivo, nel senso che esse venivano attribuite all'ente pubblico, che ne assumeva, correlativamente, la titolarità esclusiva.

7. (segue): evoluzione della nozione di servizio pubblico. Imputabilità di esso alla PA. Sufficienza. Gestione da parte di privati. Ammissibilità. Presupposto. Atto concessorio. Ulteriore evoluzione: affidamento a privati con mantenimento di poteri soltanto regolatori in capo alla PA.
7.1. In epoca più recente, la pubblicità del servizio è stata identificata con l'imputabilità di esso alla pubblica amministrazione, ossia nella titolarità del servizio in capo al pubblico potere, escludendo invece la necessità che il servizio stesso fosse gestito in via diretta ed esclusiva dall'amministrazione ed ammettendo la partecipazione a detta gestione anche di soggetti privati, tramite l'emanazione di un provvedimento di natura concessoria.
7.2. La dimensione solo soggettiva del servizio pubblico non soddisfaceva, peraltro, l'esigenza di coordinare la sua organizzazione con la finalità concreta di soddisfare in modo continuativo i bisogni della collettività di riferimento e con la necessità di selezionare previamente i settori della vita sociale in cui le aspettative dei destinatari/utenti assumessero un rilievo giuridicamente rilevante.
7.3. Il passaggio dalla concezione soggettiva alla concezione oggettiva del servizio pubblico, oggi prevalente sia in dottrina che in giurisprudenza, è derivato anche da una rilettura dell'art. 43 Cost., il quale - nel prevedere che, ai fini di utilità generale, la legge possa riservare o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori e di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscono a servizi pubblici essenziali - ammette sia che imprese esercenti servizi pubblici siano di pertinenza privata e dai privati trasferite allo Stato o ad altri enti pubblici, sia che i destinatari di detto trasferimento siano comunità di lavoratori o di utenti, ossia soggetti a loro volta privati.
7.4. La conseguenza più rilevante della concezione oggettiva del servizio pubblico è che il soddisfacimento dell'interesse pubblico può essere assicurato anche solamente da privati, senza che l'ente pubblico assuma ruoli di prestazione diretta, conservando semplicemente poteri di regolazione delle attività private svolte ed esercitate in concorrenza tra loro. L'intervento statale e degli altri enti territoriali, in questo caso, si limita ad un'attività di regolazione delle attività private, attraverso vari strumenti correttivi delle energie del mercato (come, ad es., obblighi di servizio pubblico, contratti di servizio, poteri di approvazione tariffaria o di determinazione di tariffe più basse di quelle derivanti dal confronto concorrenziale, carte di servizio). La nozione di servizio pubblico in senso oggettivo ha dato così copertura dogmatica anche ai processi di liberalizzazione delle attività economiche in precedenza svolte in monopolio, resi possibili dalla distinzione concettuale tra la gestione del servizio e la regolazione da parte di soggetti pubblici.

8. (segue): servizi aventi rilevanza economica e servizi non economici. Distinzione. Servizio di interesse economico generale. Nozione comunitaria.
8.1. I servizi aventi rilevanza economica (ad es.: trasporti, energia elettrica, telecomunicazioni) sono suscettibili di essere esercitati in forma imprenditoriale e si prestano ad essere gestiti da soggetti privati in regime di concorrenza, mentre i servizi non economici (es.: scuola, sanità, assistenza sociale) vengono direttamente gestiti dalle pubbliche amministrazioni con oneri a carico della fiscalità generale, e in ogni caso il coinvolgimento dei privati è possibile solo se ai gestori vengono erogati finanziamenti pubblici.
8.2. I servizi pubblici aventi rilevanza economica sono stati direttamente coinvolti nel processo di liberalizzazione delle attività economiche perseguito dal legislatore comunitario e, di riflesso, dai singoli Stati membri, con l'introduzione di meccanismi di apertura di mercati prima riservati interamente al soggetto pubblico gestore. Si è così passati, ove possibile, dalla gestione in monopolio a servizi prestati in concorrenza da imprese pubbliche e private abilitate a svolgere l’attività sulla base di semplici autorizzazioni. D’altra parte, in ambito comunitario non viene utilizzata l’espressione servizio pubblico, ma è presente, invece, la nozione di servizio di interesse economico generale.
8.3. L'art. 14 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea riconosce ai servizi di interesse economico generale un’importanza fondamentale per i valori comuni dell’Unione europea, nonché un ruolo di promozione della coesione sociale e territoriale, attribuendo all'Unione e agli Stati membri la competenza a provvedere affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni, in particolare economiche e finanziarie, che consentano loro di assolvere i propri compiti. Le disposizioni dei Trattati, peraltro, lasciano impregiudicata la competenza degli Stati membri a fornire, a commissionare e ad organizzare servizi di interesse economico generale il più possibile vicini alle esigenze degli utenti (si veda, a tale riguardo, il protocollo n. 26 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea).
8.4. Sulla base delle interpretazioni elaborate sul tema dalla giurisprudenza comunitaria (cfr. Corte giust. UE, 18 giugno 1998, C-35/96) e dalla Commissione europea (in specie, nelle comunicazioni in tema di servizi di interesse generale in Europa del 26 settembre 1996 e del 19 gennaio 2001; nonché nel libro verde su tali servizi del 21 maggio 2003), emerge che la nozione comunitaria di servizio di interesse economico generale, ove limitata all'ambito locale, e quella interna di servizio pubblico locale di rilevanza economica, hanno "contenuto omologo" (cfr. Corte cost., sentenza 17 novembre 2010 n. 325). Tali nozioni, infatti, fanno riferimento a un servizio che è reso mediante attività economica (in forma di impresa pubblica o privata), intesa quale attività di offerta di beni e servizi sul mercato, e fornisce prestazioni considerate necessarie, dirette cioè a realizzare fini sociali, nei confronti di una generalità indifferenziata di soggetti.

9. (segue): assimilabilità della nozione di servizio pubblico locale a quella di servizio pubblico di interesse generale.
9.1. La nozione di servizio pubblico locale può essere quasi integralmente assimilata a quella di servizio pubblico o di interesse generale, limitandosi a rappresentare un particolare ambito (quello locale, appunto) di svolgimento del servizio stesso. Non a caso la Corte costituzionale più volte ha riconosciuto la corrispondenza tra l'espressione “servizio pubblico locale di rilevanza economica” o “servizio di interesse generale” dell'ente locale e quella di “servizio di interesse economico generale” (SIEG), rinvenibile, in particolare, negli artt. 14 e 106 del T.F.U.E. (ex plurimis, sentenza 17 novembre 2010 n. 325, punto 6.1. del considerato in diritto), affermando che la materia dei servizi pubblici locali rientra a pieno titolo nell'ambito materiale relativo alla tutela della concorrenza.
9.2. Per la configurabilità di un servizio pubblico locale occorre che il medesimo abbia una sua soggettiva ed oggettiva qualificazione, la quale deve garantire la realizzazione di prevalenti fini sociali, oltre che la promozione dello sviluppo economico e civile delle relative comunità.
9.3. Non è qualificabile come servizio pubblico locale l'attività alla quale non corrisponda una specifica pretesa degli utenti, come avviene per la gestione di un'opera pubblica o anche per i servizi resi all'amministrazione, così come non è servizio pubblico locale l'attività avente rilevanza economica per la quale manchi una effettiva ed inequivoca manifestazione di volontà dell'amministrazione locale interessata di assumerla (e/o quanto meno di considerarla) come tale.
9.4. Il servizio pubblico locale e quello di interesse economico generale assolvono l'identica funzione di identificare i servizi la cui gestione deve avvenire di regola, al fine di tutelare la concorrenza, mediante affidamento a terzi secondo procedure competitive ad evidenza pubblica. Il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in particolare, prescrive che i servizi di interesse economico generale, in linea di principio, siano assicurati da imprese pubbliche e/o private in concorrenza fra di loro. Tuttavia, il principio di concorrenza può essere derogato se la sua applicazione rischia di compromettere la "missione di interesse generale" affidata ai soggetti pubblici, di modo che, in tal caso, lo Stato membro è legittimato a riconoscere diritti speciali ed esclusivi ad un'impresa pubblica, in deroga all'ordinaria regola della concorrenza (si veda al riguardo l'art. 106 TFUE).
9.5. Il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea legittima l'intervento pubblico laddove le energie concorrenziali non assicurino un'adeguata tutela dei fini di interesse generale che il servizio è diretto a soddisfare, consentendo agli Stati membri di istituire enti pubblici o imprese pubbliche nazionali, cui sono attribuiti diritti speciali ed esclusivi, purché ciò avvenga nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza. La deroga all'ordinario regime di concorrenza, giustificata da esigenze di interesse generale individuate dallo Stato membro, deve avvenire, peraltro, mediante una misura proporzionata alla tutela di quelle stesse esigenze.

10. (segue): affidamento di servizi pubblici locali. Concorrenza nel mercato e concorrenza per il mercato. Scelta del concessionario. Principi comunitari a tutela della concorrenza. Osservanza. Necessità.
10.1. Il diritto comunitario mostra un'indifferenza di principio circa la possibilità che l'ente pubblico svolga il servizio di interesse economico generale direttamente, ovvero ne affidi la gestione all'esterno della sua organizzazione, purché ciò avvenga in favore di soggetti selezionati tramite procedure competitive, che garantiscano eque condizioni di accesso per tutti gli operatori economici potenzialmente in grado di prestare il servizio.
10.2. Dal diritto europeo deriva anche il concetto di "concorrenza nel mercato" e "concorrenza per il mercato". La prima nozione riguarda i servizi per i quali la fornitura del servizio medesimo può essere svolta da una pluralità di operatori in concorrenza tra di loro, sulla base di un semplice provvedimento di autorizzazione non discrezionale (c.d. autorizzazioni generali), teso a verificare il possesso dei requisiti tecnici ed economici minimi necessari per intraprendere il servizio (si pensi ai trasporti aerei e a quelli ferroviari). La seconda nozione riguarda quelle situazioni in cui il servizio pubblico si presta ad essere svolto in modo efficiente da un unico gestore e l'attribuzione del servizio avviene sulla base di una procedura competitiva di affidamento della concessione alla quale possono partecipare su un piano di parità tutti i potenziali interessati. Si crea in questo modo un mercato artificiale, in quanto limitato alla sola fase di scelta del gestore che acquista un diritto speciale e/o di esclusiva, secondo le condizioni tecniche ed economiche poste a base della gara (si pensi alla distribuzione dell'energia elettrica a livello locale, o della gestione delle grandi reti come le infrastrutture ferroviarie e le autostrade).
10.3. Nel caso in cui l’ente locale scelga di non gestire direttamente il servizio pubblico ma scelga di affidare la gestione ad altri tramite concessione, la scelta del concessionario dovrà necessariamente rispettare i principi dell’ordinamento comunitario volti a valorizzare e salvaguardare i principi di trasparenza, massima partecipazione, concorrenza e proporzionalità che, nel nostro ordinamento sono significativamente ribaditi non solo dall’art. 1 della legge fondamentale sull’esercizio dei pubblici poteri, vale a dire la legge n. 241 del 1990, ma anche dall’art. 27 e, ancor più significativamente, dall’art. 30 del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163, tenendo conto che tale ultimo articolo disciplina l’affidamento di concessioni di servizi.
10.4. Con riferimento all’applicabilità dell’art. 30 del Codice dei contratti pubblici in tema di affidamento di concessioni per la gestione di servizi pubblici, la gestione di un impianto sportivo non ha una precisa collocazione nel quadro delle norme relative agli appalti ed agli affidamenti; in quanto alla tipologia di appalto, quella di gestione di impianto sportivo viene spesso fatta rientrare in quella di servizi. Tuttavia, la fattispecie dell'affidamento a terzi della gestione di un impianto sportivo comunale deve, invece, essere inquadrata nella concessione di pubblico servizio posto che, sul piano oggettivo, per pubblico servizio deve intendersi un'attività economica esercitata per erogare prestazioni volte a soddisfare bisogni collettivi ritenuti indispensabili in un determinato contesto sociale (T.A.R. Lazio, Sez. II, sentenza 22 marzo 2011 n. 2538).
10.5. L'ente locale che intenda affidare a terzi la gestione degli impianti sportivi comunali, è tenuto ai sensi dell'articolo 30, comma 3, del D. lgs. 12 aprile 2006, n. 163, a indire una gara pubblica aperta a tutti i soggetti qualificati in relazione al suo oggetto (Consiglio di Stato, sez. V, 20 febbraio 2009, n. 1030; nello stesso senso T.A.R. Lazio, Sez. II, sentenza 22 marzo 2011 n. 2538).
10.6. L'art. 113 del D.Lgs. n. 267/2000 è stato abrogato dall'art. 23-bis D.L. n. 112/2008 conv. in legge n. 133/2008, che, a propria volta, è stato poi abrogato a seguito dell'entrata in vigore del d.P.R. 18 luglio 2011 n. 113 (Abrogazione, a seguito di referendum popolare, dell'articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, e successive modificazioni, nel testo risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 325 del 2010, in materia di modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica), con il quale, preso atto dell'esito del referendum ammesso dalla Corte costituzionale con la sentenza 26 gennaio 2011 n. 24, è stata disposta l'abrogazione, a decorrere dal 21 luglio 2011, dell'art. 23-bis, oggetto del quesito referendario. Dal momento che, come affermato dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 24 del 2011, va esclusa la reviviscenza dell'art. 113 del decreto legislativo n. 267 del 2000 a seguito dell'abrogazione referendaria dell'art. 23-bis del decreto legge n. 112 del 2008. La conseguenza delle vicende legislative e referendarie brevemente richiamate è che, attualmente, si deve ritenere applicabile alla materia dei servizi pubblici locali la normativa e la giurisprudenza comunitarie, senza alcun riferimento a leggi interne (in tal senso espressamente cfr. le sentenze della Corte cost. sentenze 28 marzo 2013 n. 50 e 20 luglio 2012 n. 199).

11. (segue): affidamento diretto di servizi pubblici. Società miste. Scelta del socio privato. Principi comunitari a tutela della concorrenza. Osservanza. Necessità.
11.1. La normativa comunitaria consente l'affidamento diretto del servizio (cioè senza una gara ad evidenza pubblica per la scelta dell'affidatario) alle società miste nelle quali si sia svolta una gara ad evidenza pubblica per la scelta del socio privato e richiede sostanzialmente che tale socio sia un socio "industriale" e non meramente "finanziario" (in tal senso, in particolare, il Libro verde della Commissione del 30 aprile 2004), senza espressamente richiedere alcun limite, minimo o massimo, della partecipazione del socio privato, permettendo, in particolare, l'affidamento diretto della gestione del servizio in via ordinaria ad una società mista, alla condizione che la scelta del socio privato avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica» e che a tale socio siano attribuiti specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio. È dunque necessario che le procedure per l’affidamento di servizi pubblici locali debbano essere pienamente conformi al diritto dell'Unione europea. (cfr. Corte Costituzionale sentenza n. 325 del 2010, punto 6.1. del Considerato in diritto).
11.2. Il diritto dell'Unione europea consente l'affidamento diretto del servizio di rilevanza economica anche a società cosiddette miste, esprimendo un vero e proprio favor per il partenariato pubblico/privato e gli organismi misti (il già richiamato Libro verde della Commissione europea relativo ai partenariati pubblico-privati ed al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni, COM-2004-327, 30 aprile 2004; nonché la Comunicazione interpretativa della Commissione europea sull'applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni ai partenariati pubblico-privati istituzionalizzati, PPPI, 2008/C91/02). Secondo la giurisprudenza comunitaria, va ribadita la legittimità comunitaria dell'affidamento diretto a società miste, purché sia rispettata la condizione della gara cosiddetta "a doppio oggetto" (Corte di Giustizia CE, Sez. III, 15 ottobre 2009, in causa C-196/08).
11.3. Sebbene la mancanza di gara nel contesto dell'aggiudicazione dei servizi risulti inconciliabile con gli artt. 43 CE e 49 CE e con i principi di parità di trattamento e di non discriminazione, la scelta del socio privato nel rispetto degli obblighi comunitari e l'individuazione dei criteri di scelta del socio privato consentono di ovviare a detta situazione, dal momento che i candidati devono provare, oltre alla capacità di diventare azionisti, anzitutto la loro perizia tecnica nel fornire il servizio nonché i vantaggi economici e di altro tipo derivanti dalla propria offerta” (punto 59). Ne consegue che, dato che i criteri di scelta del socio privato si riferiscono non solo al capitale da quest'ultimo conferito, ma altresì alle capacità tecniche di tale socio e alle caratteristiche della sua offerta in considerazione delle prestazioni specifiche da fornire, e dal momento che al socio in questione viene affidata, come nella fattispecie di cui alla causa principale, l'attività operativa del servizio di cui trattasi e, pertanto, la gestione di quest'ultimo, si può ritenere che la scelta del concessionario risulti indirettamente da quella del socio medesimo effettuata al termine di una procedura che rispetta i principi del diritto comunitario, cosicché non si giustificherebbe una seconda procedura di gara ai fini della scelta del concessionario (cfr. punto 60 della sentenza della Corte di Giustizia CE, Sez. III, 15 ottobre 2009, in causa C-196/08).
11.4. Al di fuori dell’affidamento diretto della concessione ad una società mista formata secondo le procedure suindicate ovvero del c.d. affidamento in house nel rispetto delle prescrizioni comunitarie (società totalmente pubblica, controllo analogo, attività rivolta esclusivamente in favore dei soggetti pubblici dai quali essa è gemmata), l’affidamento della concessione ovvero il rinnovo delle stesse debbono, nel rispetto del diritto dell’Unione europea, avvenire all’esito di un confronto concorrenziale tra gli aspiranti concessionari. La scelta sul tipo di strumento da utilizzare per l’affidamento della concessione del servizio pubblico locale è discrezionalmente rimessa all’ente pubblico locale concedente.

12. Rinnovo di concessione di servizi pubblici locali. Principi comunitari a tutela della concorrenza. Inosservanza. Illegittimità. Annullamento in via di autotutela. Presupposti ex art. 21-nonies legge n. 241/1990. Sussistono.
Nel caso in cui una concessione di servizi pubblici locali sia stata rinnovata a favore del precedente concessionario in difetto di gara pubblica, dalla diretta applicabilità al settore della gestione degli impianti a fune per il trasporto di persone, dei principi e delle disposizioni di tutela della concorrenza proprie del T.F.U.E., consegue che sussistono tutti i presupposti indicati nell’art. 21-nonies della n. 241 del 1990 per l'annullamento in via di autotutela dell'affidamento diretto. Accanto alla contestata mancata valorizzazione della posizione dell’originario affidatario quanto all’affidamento coltivato a vedersi rinnovata la concessione, l’amministrazione ha legittimamente dovuto considerare la posizione di coloro che con il rinnovo automatico della concessione avrebbe perso ogni possibilità di accedere alla gestione o sfruttamento dell’impianto per un ulteriore decennio, sottraendo detta attività di rilevo economico alla libera contesa concorrenziale.

T.A.R. Lazio Roma, Sez. 2Q, 1 settembre 2014, n. 09264
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