Accedi a LexEureka

Ricorso avverso il silenzio dell'Amministrazione

Atto amministrativo e silenzio della P.A. Giustizia amministrativa

Sul potere del G.A. di giudicare sulla fondatezza dell’istanza in ordine alla quale la P.A. ha tenuto un comportamento omissivo
T.A.R. Campania Napoli, Sez. 5, Sentenza 26 marzo 2013, n. 01663

Principio

1. Sul potere del G.A. di giudicare sulla fondatezza dell’istanza in ordine alla quale la P.A. ha tenuto un comportamento omissivo.
1.1. A seguito della entrata in vigore dell’art.21-bis della Legge n.1034/1971, come introdotto dall’art.2 della Legge n. 205/2000, il giudizio contro il silenzio-rifiuto della Pubblica Amministrazione rimaneva circoscritto alla inattività dell’Amministrazione cui è affidata la cura dell’interesse pubblico, mentre al giudice amministrativo era assegnato il solo controllo sulla legittimità dell’esercizio della potestà, attesa l’eccezionalità del sindacato di merito su attività espressione di potestà pubblicistiche.
1.2. Con le modifiche introdotte dalla LEGGE 11 febbraio 2005, n. 15  e la previsione di precisi termini per la conclusione del procedimento, il comportamento omissivo dell’Amministrazione si presta ad essere ormai configurato come “silenzio diniego” ovvero “significativo” del non accoglimento dell’istanza del privato.
1.3. Sul piano della tutela giurisdizionale la circostanza che “il giudice amministrativo può conoscere della fondatezza dell’istanza” (art.2, comma 5, della Legge n. 241/1990) ha certamente inciso sulla questione della limitazione del giudizio sul silenzio al mero accertamento della violazione dell’obbligo dell’Amministrazione di concludere il procedimento mediante un provvedimento espresso. Tuttavia resta prevalente l’opinione (da ultimo, Cons. Stato, VI, 2.2.2007, n.427) secondo la quale, in sede di utilizzo del procedimento speciale di cui all’art. 2 della Legge n.205 del 2000, deve ravvisarsi l’esercizio da parte del giudice amministrativo di una giurisdizione di legittimità che può, in ultima analisi, condurre alla sola declaratoria dell’obbligo di provvedere, ma senza ottenere in modo anticipato una delibazione del merito della controversia, che viceversa presuppone tutta la fase cognitoria di accertamento. Del resto si tratta di una questione di non poco conto, che non può essere risolta prescindendo dal principio di separazione tra i poteri; resta allo stato forte la sensazione che il silenzio-rifiuto è un istituto di carattere pubblicistico e non estensibile al comportamento omissivo dell’Amministrazione che, in quanto si atteggia come inadempimento di una obbligazione, integra gli estremi di una responsabilità contrattuale.
1.4. L’art. 2 della Legge n. 241/1990 è stato ancora recentemente modificato dalla Legge n.69/2009, ove si dispone tra l’altro che, ove non sia previsto un termine diverso, i procedimenti amministrativi devono concludersi entro il termine di trenta giorni; è stato anche introdotto un nuovo art. 2-bis sulle conseguenze per il ritardo dell’Amministrazione nella conclusione del procedimento, che però tratta solo dei rilievi risarcitori del danno da ritardo ma non disciplina tutte le conseguenze del silenzio c.d. di inadempimento, non toccando il citato art. 21-bis. Nell’attuale regime normativo il potere del giudice amministrativo viene dunque ad essere strettamente condizionato dalle risultanze processuali che permettono di verificare se le istanze e le acquisizioni processuali sono idonee a comprovare la fondatezza dell’istanza in ordine alla quale la P.A. ha tenuto un comportamento omissivo. 
1.5. Con riguardo al poter del G.A. di giudicare sulla fondatezza della istanza di cui al comma 8 del nuovo art. 2 l. n. 241/1990, il giudice amministrativo può conoscere della fondatezza dell’istanza nelle ipotesi di manifesta fondatezza, allorché siano richiesti provvedimenti amministrativi dovuti o vincolati in cui non c’è da compiere alcuna scelta discrezionale che potrebbe sfociare in diverse soluzioni, e di manifesta infondatezza, sicché risulti del tutto diseconomico obbligare la P.A. a provvedere laddove l’atto espresso non potrà che essere di rigetto (T.A.R. Lazio, Roma, II, 5.11.2009, n.10868; Cons. Stato, IV, 16.9.2008, n.4362; 28.4.2008, n.1873; VI, 26.11.2008, n.5843; 11.5.2007, n.2318; T.A.R. Abruzzo, Pescara, 10.1.2007, n.45).

T.A.R. Campania Napoli, Sez. 5, 26 marzo 2013, n. 01663
Caricamento in corso