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Professione di restauratore di beni culturali

Beni culturali e paesaggistici Atto amministrativo e silenzio della P.A.

1. Questione di legittimità costituzionale relativa a disposizione successivamente novellata. Valutazione della rilevanza. Distinzione tra abrogazione e incostituzionalità. Diversità degli effetti. Atto amministrativo assunto sulla base della normativa abrogata. Principio tempus regit actum. Rilevanza della questione. 2. (segue): disciplina transitoria in tema di titolo abilitante l'esercizio della professione di restauratore. Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale. 3. (segue): possesso di SOA OS2. Non costituisce di per sé titolo abilitante all'esercizio della professione di restauratore. Verifica dei presupposti relativi a capacità professionale. Rilevanza costituzionale degli interessi protetti (beni culturali) incisi dall'attività di restauratore. Loro prevalenza rispetto all'aspirazione degli operatori di accedere a opportunità professionali. 4. (segue): ragionevolezza della disciplina transitoria. 5. Disciplina sull'accesso alla professione di restauratore. Contrasto con principi comunitari in tema di concorrenza. Non sussiste. Situazione puramente interna. Previsione di un esame di idoneità. Compatibilità con i principi comunitari.
Cons. St., Sez. 6, Sentenza 3 ottobre 2014, n. 04946

Principio

1. Questione di legittimità costituzionale relativa a disposizione successivamente novellata. Valutazione della rilevanza. Distinzione tra abrogazione e incostituzionalità. Diversità degli effetti. Atto amministrativo assunto sulla base della normativa abrogata. Principio tempus regit actum. Rilevanza della questione. 
1.1. La sopravvenienza di novella normativa non fa venire meno la rilevanza dell'incidente di costituzionalità laddove in sede giurisdizionale sia stata contestata l’illegittimità costituzionale della norma abrogata, sulla cui base è stato emanato un atto amministrativo ritualmente impugnato dinanzi al G.A.
1.2. La legittimità dell’atto amministrativo deve essere esaminata in sede giurisdizionale, in virtù del principio tempus regit actum, con riguardo alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione (cfr. Corte Cost. sentenze 24 aprile 2013, n. 78; 11 luglio 2012, n. 177; nonché, tra le altre, sentenze 25 novembre 2011, n. 321; 11 giugno 2010, n. 209 ; 28 novembre 2008, n. 391; 20 novembre 2000 n. 509). Di talché persiste la rilevanza della questione di legittimità costituzionale anche nel caso in cui la norma sottoposta a scrutinio sia sostituita da una successiva, ove un determinato atto amministrativo sia stato adottato sulla base di una norma poi abrogata.
1.3. I due istituti giuridici dell'abrogazione e della illegittimità costituzionale delle leggi non sono eguali fra loro, ma si muovono su piani diversi ed hanno, soprattutto, effetti diversi. Mentre la dichiarazione di incostituzionalità di una legge o di un atto avente forza di legge rende la norma inefficace ex tunc e quindi estende la sua invalidità a tutti i rapporti giuridici ancora pendenti al momento della decisione della Corte, restandone così esclusi soltanto i «rapporti esauriti» (cfr. l’art. 136 Cost., e, ancora più chiaramente, l’art. 30, comma 3, legge 11 marzo 1953, n. 87: “Le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”), l’abrogazione, salvo il caso dell’abrogazione con effetti retroattivi, opera solo per l’avvenire, atteso che anche la legge abrogante è sottoposta alla regola di cui all’art. 11 delle Disposizioni sulla legge in generale (c.d. Preleggi), secondo cui “la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”.

2. (segue): disciplina transitoria in tema di titolo abilitante l'esercizio della professione di restauratore. Manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale.
2.1. A seguito di annullamento in sede giurisdizionale del d.m. 3 agosto 2000, n. 294 (T.A.R. Lazio, sent. 1° marzo 2004, n. 1845), con il quale il Ministero per i beni e le attività culturali aveva attuato il D.Lgs. 20 ottobre 1998, n, 368, relativo a Scuole di restauro per la formazione di restauratori e l'abilitazione all'esercizio della professione, al fine di colmare il vuoto regolamentare e normativo in materia, il legislatore è intervenuto con gli artt. 29 e 182 d.lgs. n. 42 del 2004. È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 182, comma 1, lettere b) e c) e comma 1-bis (lettera a) del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (nel testo vigente anteriormente alla novella di cui alla legge 14 gennaio 2013 n. 7 e all’art. 3-quinquies, comma 1, D.L. 8 agosto 2013, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla l. 7 ottobre 2013, n. 112), nella parte in cui prevede(va) che i requisiti ivi indicati, utili all’acquisizione della qualifica di restauratore di beni culturali, ovvero all’ammissione alla prova di idoneità di cui all’art. 182, comma 1-bis, debbano essere posseduti dagli interessati “anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto del Ministro 24 ottobre 2001, n. 420”.
2.2. Con l'art. 182 del Codice dei beni culturali il legislatore ha provveduto a introdurre un regime transitorio in vista della definizione a regime della figura di restauratore di beni culturali, contemplata dall’art. 29 del medesimo Codice; tale disposizione in gran parte recepisce il parametro sostanziale che era rinvenibile - anche se ai soli limitati fini della individuazione dei requisiti di qualificazione per la partecipazione alle gare di appalto - negli artt. 7 e 8 del decreto del Ministro per i beni e le attività culturali 3 agosto 2000, n. 294 (Regolamento concernente l'individuazione dei requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori dei lavori di restauro e manutenzione dei beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici), modificato dal d.m. 24 ottobre 2001, n. 420.

3. (segue): possesso di SOA OS2. Non costituisce di per sé titolo abilitante all'esercizio della professione di restauratore. Verifica dei presupposti relativi a capacità professionale. Rilevanza costituzionale degli interessi protetti (beni culturali) incisi dall'attività di restauratore. Loro prevalenza rispetto all'aspirazione degli operatori di accedere a opportunità professionali. 
3.1. In tema di professione di restauratore, lo svolgimento in via di fatto o a seguito dell'attribuzione della qualifica OS2 non può costituire presupposto per rivendicare pretesi diritti quesiti, o lamentare la riduzione di possibilità lavorative. In difetto di una compiuta disciplina normativa a regime che identifichi la qualifica in modo formale, non possono profilarsi situazioni di diritto che comportino il mantenimento della qualifica stessa. L'attribuzione della qualifica OS2 in base al d.m. 420 del 2001 non comporta il riconoscimento ai fini professionali della qualifica di restauratore (cfr. Corte Costituzionale sent. 13 gennaio 2004, n. 9). Perciò l'avere in precedenza avuto affidamenti di lavori di restauro da parte di Soprintendenze non può costituire titolo tale da comportare l'attribuzione automatica della qualifica.
3.2. Gli operatori economici nel settore del restauro di beni culturali non possono pretendere di ottenere automaticamente la qualifica professionale di restauratore, senza che vi sia stata, in rispetto a congrue ragioni di merito professionale, una previa valutazione o una situazione legittimamente tale da rendere l'assoluta certezza circa la sussistenza di adeguate loro capacità professionali, in rapporto alla rilevanza, all’incidenza e alla delicatezza dell'attività svolta. 
3.3. L'attività di restauro, incidendo direttamente sulla consistenza materica delle cose d’arte, potrebbe comportare, a causa di una perizia professionale non debitamente accertata o assicurata, danni irreversibili o comunque gravi al patrimonio artistico nazionale, vale a dire a beni facenti parte di un complesso di primario rilievo, la cui tutela è per la Nazione di importanza tale da formare oggetto di un principio fondamentale della Costituzione (art. 9); ovvero potrebbe comportare l’applicazione di metodologie e il raggiungimento di risultati pratici non coerenti con l’indirizzo, di particolare pregio e comunque di consonanza con il patrimonio culturale nazionale, della scuola del restauro italiana, e dunque anch’essi pregiudizievoli dal medesimo punto di vista: è infatti coerente con l’unitarietà del patrimonio nazionale, additata dall’art. 9 della Costituzione, l’unitarietà degli indirizzi metodologici, non a caso assicurati al massimo livello formativo e di pratica dagli appositi istituti di restauro ministeriali. Se l'Amministrazione infatti non potesse più scegliere il restauratore di acclarata affidabilità, ciascun soggetto iscritto negli elenchi potrebbe essere chiamato a svolgere lavori di restauro anche su opere importantissime di titolarità pubblica: il che, per il pericolo evidente di vulnus che potrebbe derivarne, rappresenterebbe un risultato inaccettabile in rapporto al detto primario rango costituzionale della materia. È evidente dunque che deve dunque esserci un’acclarata certezza sulla qualificazione professionale del singolo soggetto agente in ambito di tanta delicatezza e rilievo.
3.4. Gli operatori economici nel settore dei restauri di beni culturali possono vantare solo l’interesse a che vengano individuati i requisiti per l'accesso alla qualifica in modo ragionevole e non discriminatorio. La norma deve infatti assicurare l'interesse primario alla salvaguardia del patrimonio storico artistico e non già quello, anch'esso meritevole di considerazione, ma certo recessivo nella comparazione degli interessi, alla conservazione delle opportunità lavorative degli operatori.
3.5. Non è irragionevole che il legislatore abbia ancorato, ai fini del riconoscimento diretto della qualifica di restauratore, il possesso dei requisiti professionali alla data di entrata in vigore del d.m. 24 ottobre 2001, n. 420 (pubblicato sulla G.U. n. 280 del 1 dicembre 2001), di modifica del d.m. 3 agosto 2000, n. 294 (Regolamento concernente l'individuazione dei requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori dei lavori di restauro e manutenzione dei beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici). Al momento dell'entrata in vigore del d.m. 420 del 2001 era ormai, infatti, chiaro che per accedere alla professione di restauratore occorreva una particolare qualificazione professionale, derivante dal possesso di un titolo di studio o dallo svolgimento di un certo numero di anni di attività professionale. Ne consegue che coloro i quali si sono affacciati alla professione successivamente al 2001 (o che hanno maturato i requisiti dopo quella data) non potevano non essere edotti della necessità del possesso di una particolare qualificazione per lo svolgimento di una tale specialistica attività.

4. (segue): ragionevolezza della disciplina transitoria.
4.1. La posizione di coloro che, ancor prima dell’entrata in vigore del d.m. n. 420 del 2001 avevano acquisito la professionalità considerata quale standard minimo per effettuare interventi di recupero di beni culturali nell’ambito degli appalti di lavori aventi ad oggetto tale peculiare categoria di opere, era del tutto differenziata rispetto a quella di chi ancora non aveva raggiunto la predetta soglia. Costoro, peraltro, non sono stati esclusi dell'accesso alla professione in base alla disciplina transitoria. È stato invece loro richiesto soltanto di sottoporsi ad un esame di idoneità, come peraltro previsto dallo stesso d.m. 420 del 2001. Del resto, è normale a tutte le discipline transitorie di regolare le situazioni pendenti con l’introdurre uno spartiacque tra la vecchia e la nuova disciplina, riferendolo a una data precisa. Del che derivano, a seconda dei soggetti, vantaggi o svantaggi che non sono di per sé irrazionali.
4.2. In tema di professione di restauratore, stante l'ineluttabilità dell’attuazione di una normativa transitoria che regoli il passaggio tra un regime all'altro, non è illogica e irragionevole la data prescelta dal legislatore alla quale fissare il possesso dei requisiti. La scelta legislativa – risultante dall’art. 182 del Codice, come modificato dai decreti legislativi integrativi e correttivi del Codice, 24 marzo 2006, n. 156 e 26 marzo 2008, n. 62 - è stata di tenere adeguata in considerazione la posizione di quanti già avevano intrapreso o continuato l'attività allorché era in vigore il solo d.m. 294 del 2000 (che è stato poi modificato dal d.m. 420 del 2001), e di recepire con le successive novelle del Codice l'avvenuta maturazione dei requisiti a una certa data, anteriore alla data di entrata in vigore della novella stessa, al fine di disincentivare lo svolgimento di fatto e contra legem di ulteriori attività formative e lavorative nel futuro e non aggravare la distanza tra le previsioni normative e la realtà di fatto.
4.3. Considerata la delicatezza del riconoscimento diretto della qualifica di restauratore, è del tutto ragionevole che il legislatore abbia recepito sostanzialmente nell'art. 182 comma 1 lett. b) e c) il contenuto del d.m. 294 del 2000, modificato dal d.m. 420 del 2001, limitando l'accesso alla qualifica senza prova idoneativa ai soli soggetti che disponevano dei requisiti per l'accesso alla qualifica già in base alla pregressa disciplina regolamentare: tanto al fine di tutelare la loro posizione per aver iniziato l'attività di restauro quando non vi era un parametro normativo certo in merito ai presupposti per l'acquisto della qualifica.

5. Disciplina sull'accesso alla professione di restauratore. Contrasto con principi comunitari in tema di concorrenza. Non sussiste. Situazione puramente interna. Previsione di un esame di idoneità. Compatibilità con i principi comunitari.
5.1. In tema di attività di restauratore, non sussistono i presupposti per disapplicare l’art. 182, comma 1, lett. b) e c) del d.lgs. n. 42 del 2004, per contrasto con i principi di diritto comunitario in materia di concorrenza. Gli invocati principi di derivazione comunitaria non sono applicabili, ratione materiae, in una controversia in cui venga in rilievo una “situazione puramente interna”, ovvero una situazione totalmente collegata con lo Stato e priva dunque di qualsiasi elemento transfrontaliero che comporti l’insorgere della rilevanza del caso per il diritto europeo (nella specie il ricorso in sede giurisdizionale era stato proposto da cittadini italiani, aspiranti al riconoscimento giuridico con effetti solo all’interno del territorio nazionale della qualifica di restauratore in via diretta, sulla base cioè della semplice verifica della sussistenza dei requisiti, senza sottoporsi ad un esame di idoneità).
5.2. Con l’utilizzo dell’espressione “situazioni puramente interne”, la Corte di giustizia dell'Unione Europea si riferisce a fattispecie in cui manca qualsiasi collegamento tra la vicenda interna ed il diritto comunitario, tale per cui essa ricade interamente sotto la competenza dello Stato membro, con esclusione di qualsiasi potere di ingerenza da parte dell'Unione europea (cfr. Cfr. Corte di giustizia, cause riunite C-35 e 36/82, Morson & Jhanjan c. Olanda; Corte di giustizia, causa C-153/91, Petit c. Office national des pensions; Corte di giustizia, cause riunite C-95/99-c-98/99 e C-180/99, Addou).
5.3. La normativa comunitaria non impedisce al legislatore nazionale di regolamentare i requisiti di accesso ad una professione, subordinandone l’esercizio al superamento di un esame di idoneità si tratti di attività (quelle di restauro di beni culturali) strettamente connesse alla tutela di interessi nazionali corrispondenti a principi fondamentali costituzionali (la tutela del patrimonio artistico nazionale). La previsione di un esame di idoneità non vale di per sé a rendere impossibile o eccessivamente difficile l’accesso alla professione.

Cons. St., Sez. 6, 3 ottobre 2014, n. 04946
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