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Occupazione appropriativa

Espropriazione per pubblica utilità

Giurisdizione del Giudice Amministrativo in tema di controversie risarcitorie conseguenti ad occupazione sine titulo di beni privati per la realizzazione di opere di pubblica utilità. Prescrizione del diritto al risarcimento del danno conseguente all'illecita apprensione. Operatività dell'istituto della c.d. dicatio ad patriam. Adibizione a strada pubblica di area privata. La c.d. ccupazione appropriativa. Diritto al risarcimento dei danni conseguenti al mancato godimento di beni appresi e non anche al risarcimento commisurato alla perdita dei beni stessi
T.A.R. Puglia Lecce, Sez. 1, Sentenza 22 maggio 2013, n. 01174

Principio

1. Giurisdizione del Giudice Amministrativo in tema di controversie risarcitorie conseguenti ad occupazione sine titulo di beni privati per la realizzazione di opere di pubblica utilità.
1.1. Sono attribuite alla giurisdizione amministrativa le controversie, anche risarcitorie, che abbiano a oggetto un' occupazione originariamente legittima, e che sia poi divenuta sine titulo a causa del decorso dei termini di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità senza il sopravvenire di un valido decreto di esproprio; ciò in quanto in questi casi trattasi non già di meri comportamenti materiali, ma di condotte costituenti espressione di un'azione originariamente riconducibile all'esercizio del potere autoritativo della p.a. (cfr. Cons. Stato, Ad. Pl., 22 ottobre 2007, nr. 12; id., 30 luglio 2007, nr. 9; id., 30 agosto 2005, nr. 4; C.g.a.r.s., 10 novembre 2010, nr. 1410; Cons. Stato, sez. IV, 6 novembre 2008, nr. 5498).
1.2. Rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo l'azione con la quale i proprietari di un'area hanno chiesto la restituzione del fondo o, in subordine il risarcimento dei danni, o viceversa, deducendo la sopravvenuta illegittimità degli atti di occupazione, ancorché originariamente avvenuti a seguito di una corretta dichiarazione di pubblica utilità; rientra, invece, nella giurisdizione del giudice ordinario la domanda relativa alla richiesta dell'indennità di occupazione legittima, senza che l'eventuale connessione tra tale domanda e quella di risarcimento del danno possa giustificare l'attribuzione di entrambe le domande allo stesso giudice, essendo indiscusso in giurisprudenza il principio generale dell'inderogabilità della giurisdizione anche in presenza di motivi di connessione (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 4 febbraio 2011, n. 804).

2. Prescrizione, per il periodo anteriore al quinquennio precedente la proposizione della domanda, del diritto al risarcimento del danno conseguente a illecita apprensione di beni privati da parte della P.A. per la realizzazione di un'opera pubblica.
Deve escludersi che la realizzazione dell’opera pubblica determini l’acquisizione dell’area alla mano pubblica (Cfr. Cass. civ., sez. I, 7 marzo 2011, nr. 5381; Cons. Stato, sez. IV, 2 agosto 2011, nr. 4590): il danno da occupazione illegittima si ricollega a una condotta antigiuridica con carattere permanente, in quanto si protrae nel tempo e dà luogo ad una serie di fatti illeciti, a partire dall'iniziale apprensione del bene, con riferimento a ciascun periodo in relazione al quale si determina la perdita di detti frutti, con la conseguenza che in ogni momento sorge per il proprietario il diritto al risarcimento del danno già verificatosi e nello stesso momento decorre il relativo termine di prescrizione quinquennale; pertanto, il diritto al risarcimento dei danni rimane colpito dalla prescrizione per il periodo anteriore al quinquennio precedente la proposizione della domanda, anche qualora i frutti vengano richiesti secondo il criterio dell'attribuzione degli interessi compensativi sulla somma corrispondente al valore venale dell'immobile. Difatti, muovendosi dal rilievo che neanche il protrarsi dell’occupazione può costituire fattore impeditivo all’esercizio del diritto al risarcimento, deve concludersi nel senso che la prescrizione ricomincia a decorrere da ogni momento dell’illecito permanente (de die in diem); il risultato è che, in assenza di validi atti interruttivi, il diritto al risarcimento deve essere riconosciuto unicamente per i cinque anni di occupazione anteriori alla proposizione dell’azione risarcitoria.

3. Operatività dell'istituto della c.d. dicatio ad patriam con riferimento a beni privati illecitamente trasformati dalla P.A. al fine di realizzare un'opera pubblica. Adibizione a strada pubblica di area privata.
3.1. L'istituto della c.d. dicatio ad patriam presuppone storicamente una manifestazione di volontà del privato proprietario nel senso dell'asservimento all'uso pubblico (dicatio ad patriam), che sussiste (ad esempio) quando vi sia stata una convenzione di lottizzazione o analogo atto d'obbligo, relativo alla realizzazione dei c.d. standards, seguita dalla trasformazione del suolo mediante la realizzazione dell'opera e dall'effettiva utilizzazione di quest'ultima in conformità al progetto, ancorché sia rimasta inadempiuta l'obbligazione di trasferire all'ente pubblico la proprietà.
3.2. Costituisce strada pubblica quel tratto viario avente finalità di collegamento, con funzione di raccordo o sbocco su pubbliche vie (Cass. Civ., Sez. II, 7 aprile 2000 n.4345; idem, 28 novembre 1988 n.6412) nonché la destinazione al transito di un numero indifferenziato di persone (Cons; Stato, Sez. V, 7 dicembre 2010 n.8624). Sotto quest'ultimo aspetto, un'area privata può ritenersi assoggettata a uso pubblico di passaggio quando l'uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale, e non uti singuli ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene gravato (Cons. Stato, Sez. V, 14 febbraio 2012 n.728).
3.3. L'adibizione a uso pubblico di un'area può avvenire, mediante la c.d. dicatio ad patriam, con il comportamento del proprietario che mette il bene a disposizione della collettività indeterminata di cittadini, oppure con l'uso del bene da parte della collettività indifferenziata protratto nel tempo, di talchè il bene stesso viene ad assumere caratteristiche analoghe a quelle di un bene demaniale (Cass. Civ., Sez. II, 21 maggio 2001 n.6924; idem, 13 febbraio 2006 n.3075). Perché un'area possa ritenersi sottoposta ad un uso pubblico è necessario oltreché l'intrinseca idoneità del bene, che l'uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di persone per soddisfare un pubblico, generale interesse.
3.4. Sostanzialmente, quanto alla dicatio ad patriam e all’acquisto della proprietà o di una servitù di uso pubblico, rilevano essenzialmente: 1) l’esistenza di una manifestazione di liberalità da parte del proprietario (nella specie inesistente) nel caso di dicatio ad patriam; 2) il decorso di venti anni per l’acquisto della servitù di uso pubblico o della proprietà per usucapione.

4. Sull'istituto della c.d. ccupazione appropriativa.
4.1. Si ha occupazione acquisitiva o appropriativa quando il fondo occupato nell'ambito di una procedura espropriativa ha subito una irreversibile trasformazione in esecuzione di un'opera di pubblica utilità senza che sia intervenuto il decreto di esproprio o altro atto idoneo a produrre l'effetto traslativo della proprietà. In tale ipotesi il trasferimento del diritto di proprietà in capo alla mano pubblica si realizza con l'irreversibile trasformazione del fondo - con destinazione ad opera pubblica o di uso pubblico - ed il proprietario di esso può chiedere unicamente la tutela per equivalente, cioè il risarcimento del danno. Infatti è dal momento dell'irreversibile trasformazione del bene e della sua destinazione ad opera pubblica che si verifica l'estinzione del diritto di proprietà in capo al titolare ed il contestuale acquisto dello stesso diritto, a titolo originario, da parte dell'ente pubblico (cfr. Cass., SS.UU., 23 maggio 2008 , n. 13358).
4.2. In base al formante della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo l'istituto della occupazione appropriativa non è aderente alla Convenzione europea (sent. 30 maggio 2000, rich. n. 24638/94, Carbonara e Ventura, e 30 maggio 2000, rich. n. 31524/96, Società Belvedere Alberghiera) in quanto un comportamento illecito o illegittimo non può essere posto a base dell'acquisto di un diritto, per cui l'accessione invertita contrasta con il principio di legalità, inteso come preminenza del diritto sul fatto; ne consegue che la realizzazione dell'opera pubblica non costituisce di per se impedimento alla restituzione dell'area illegittimamente occupata.
4.3. Sulla scorta degli insegnamenti desumibili dal formante CEDU, è ormai consolidato in giurisprudenza il principio per cui la realizzazione di un'opera pubblica su fondo illegittimamente occupato, ovvero legittimamente occupato ma non espropriato nei termini di legge, non è di per sé in grado di determinare il trasferimento della proprietà del bene a favore della Amministrazione: deve infatti ritenersi ormai superato l'orientamento che riconnetteva alla costruzione dell'opera pubblica e alla irreversibile trasformazione del fondo che a essa conseguiva effetti preclusivi o limitativi della tutela in forma specifica del privato, dovendo invece affermarsi che la suddetta trasformazione su fondo illegittimamente occupato integra un mero fatto non in grado di assurgere a titolo d'acquisto (TAR Puglia-Bari sez. III n. 2131/08; TAR Puglia-Bari sez. I n. 3402/2010, confermata da C.d.S. sez. IV n. 4590/2011; C.d.S. sez. IV n. 4970/2011; C.d.S. sez. IV n. 3331/11).

5. Sul diritto dei privati spogliati di beni di loro proprietà in conseguenza per la realizzazione di opere pubbliche a domandare la restituzione dei beni appresi e il risarcimento per il mancato godimento di essi e non anche il risarcimento commisurato alla perdita dei beni stessi.
5.1. Il diritto di proprietà non può essere fatto oggetto di atti abdicativi (TAR Puglia-Bari sez. III n. 2131/08, par. 6.1.2), e quindi anche la richiesta di risarcimento formulata dal privato, finalizzata a ottenere il mero controvalore del fondo compromesso dalla realizzazione dell'opera pubblica, ancorché interpretata quale manifestazione della volontà di rinunciare alla proprietà del fondo, non può valere a determinare in capo al privato la perdita di proprietà del fondo illegittimamente occupato dall'opera pubblica.
5.2. Nei casi di illecita apprensione di aree private per la realizzazione di opere pubbliche, solo un formale atto di acquisizione del fondo riconducibile a un negozio giuridico, ovvero al provvedimento ex art. 42 bis D.P.R. 327/01 può precludere la restituzione del bene: di guisa che in assenza di un tale atto è obbligo primario della Amministrazione quello di restituire il fondo illegittimamente appreso (C.d.S. n. 4970/2011). Correlativamente, mantenendo il privato la proprietà di questo ultimo, egli non ha alcun titolo per chiedere un risarcimento commisurato alla perdita della proprietà del fondo, potendo invece agire per la restituzione di esso e per il risarcimento del danno conseguente al mancato godimento del bene durante il periodo di occupazione illegittima.(TAR Puglia-Bari sez. II n. 2131/08).
5.3. Va conseguentemente rigettata, perdurando il diritto di proprietà del ricorrente sul terreno indicato in ricorso, la domanda risarcitoria formulata con il ricorso introduttivo del giudizio, tesa ad ottenere il risarcimento del danno determinato dalla perdita della proprietà del fondo, fermo restando il potere dell'Amministrazione di attivare la procedura prevista dal citato art. 42 bis del D.P.R. n. 327 del 2001.

T.A.R. Puglia Lecce, Sez. 1, 22 maggio 2013, n. 01174
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