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Occupazione appropriativa

Espropriazione per pubblica utilità Giustizia amministrativa

Rapporto tra giudicato di rigetto della domanda di risarcimento per danni conseguenti ad occupazione appropriativa e la successiva e distinta azione restitutoria formulata nel mutato quadro giurisprudenziale e normativo che riconosce l'imprescrittibilità (salvo usucapione) della domanda restitutoria dei beni privati illegittimamente appresi dalla P.A.
Cons. St., Sez. 6, Sentenza 10 maggio 2013, n. 02559

Principio

1. Rapporto tra giudicato di rigetto della domanda di risarcimento per danni conseguenti ad occupazione appropriativa e la successiva e distinta azione restitutoria formulata nel mutato quadro giurisprudenziale e normativo che riconosce l'imprescrittibilità (salvo usucapione) della domanda restitutoria dei beni privati illegittimamente appresi dalla P.A.
1.1. Ove il privato ricorra al G.A. al fine di ottenere la restituzione di un bene illegittimamente occupato dalla Amministrazione espropriante mai oggetto di decreto di esproprio (ovvero di altro atto di trasferimento capace di estinguere il diritto dominicale degli appellanti, quale la cessione bonaria ovvero il provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001), la pretesa fatta valere in giudizio configura una tipica azione reipersecutoria, portata alla cognizione del giudice amministrativo, che ne conosce in sede di giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art.133, comma 1, lett. g), del Codice del processo amministrativo, in quanto strettamente connessa ad una procedura espropriativa. 
1.2. Sussiste la giurisdizione del G.A. sulla domanda restitutoria formulata dal privato quando la procedura espropriativa non sia stata ritualmente completata dall'Autorità espropriante, in quanto i fatti generatori dell’obbligazione restitutoria scaturiscono pur sempre da atti amministrativi (e cioè gli atti, dichiarati illegittimi, recanti l’approvazione del progetto dell’opera pubblica contenente la dichiarazione implicita di pubblica utilità e l’autorizzazione prefettizia all’occupazione d’urgenza), che integrano comportamenti ricollegabili all’esercizio del potere espropriativo, dei quali il giudice amministrativo conosce in sede di giurisdizione esclusiva ai sensi dell’art.133, comma 1, lett. g), del Codice del processo amministrativo
1.3. La pretesa restitutoria può essere azionata quand'anche, sulla medesima vicenda appropriativa, si sia precedentemente formato il giudicato di rigetto della domanda risarcitoria in relazione ad una ipotizzata “accessione invertita”, e cioè in base a quella fattispecie, di conio giurisprudenziale, di acquisizione in via di fatto di beni di proprietà privata da parte della pubblica amministrazione mercé la loro irreversibile trasformazione e destinazione effettiva a finalità di interesse pubblico. È infatti evidente la diversità di petitum sostanziale (e cioè della pretesa in concreto fatta valere, in relazione alla causa petendi) azionato nei distinti giudizi. La domanda è essenzialmente restitutoria, atteso che il privato intende rientrare in possesso del loro bene, mai legittimamente espropriato dalla Amministrazione; né tale diversità viene meno a cagione della formulazione, solo in via subordinata, della domanda per il “risarcimento del danno”, alla stregua di compenso per la perdita del bene ove la restituzione non fosse più possibile. Con tale ultima espressione il privato ricorrente intende infatti rivendicare il diritto ad ottenere il controvalore dell’immobile (e così intesa, d’altra parte, la domanda non incontra il divieto di bis in idem), e ciò per il caso che non riesca ad ottenerne la restituzione in natura. 
1.4. La domanda restitutoria, formulata dal privato che denunci la perdita del bene nell'ambito di una procedura espropriativa illegittima, si fonda su una causa petendi significativamente diversa da quella azionata nel giudizio per il risarcimento del danno conseguente alla irreversibile trasformazione del proprio terreno per "accessione invertita" (secondo la richiamata costruzione giurisprudenziale definita all’epoca ma ormai superata, come subito si dirà, dall’evoluzione normativa e giurisprudenziale successiva); il risarcimento dei danni consequenziali era l'unico rimedio riparatorio accessibile nella fattispecie data (in base alla ormai risalente elaborazione della Corte di cassazione – inaugurata dalla storica sentenza 26 febbraio 1983 n.1464 – l’Amministrazione diveniva proprietaria del bene privato attraverso l’occupazione dello stesso, la sua irreversibile trasformazione e la destinazione a finalità pubblicistiche, a prescindere dall’adozione o meno di atti espropriativi legittimi). Quand'anche volesse ritenersi che, con la proposizione dell’azione risarcitoria, il privato (titolare del bene irreversibilmente trasformato nell'ambito di una procedura espropriativa non conclusa legittimamente) abbia inteso implicitamente rinunciare, stante l’alternatività dei rimedi, all’azione restitutoria, nondimeno non par dubbio che a tale rinuncia, formulata all’interno di un contesto normativo e giurisprudenziale ben diverso da quello vigente all’epoca della proposizione del ricorso introduttivo del giudizio, non potrebbe in alcun modo attribuirsi un effetto abdicativo della proprietà in favore dell’Amministrazione, essendo tale conclusione in contrasto con l’esigenza di una piena tutela del diritto di proprietà, la quale esige che l’effetto traslativo consegua a una volontà espressa ed inequivoca del proprietario interessato (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 30 gennaio 2006, n. 290 e 28 gennaio 2011 n.676). Stante, nel previgente sistema, il carattere necessitato della tutela riparatoria per equivalente, quante volte si fosse verificata la irreversibile trasformazione dei terreni e la loro destinazione alle finalità di pubblico interesse sottese alla iniziativa espropriativa, deve ritenersi che il giudicato di rigetto formatosi sulla domanda risarcitoria non produca effetti estensivi tali da giungere al risultato estremo di inibire la tutela restitutoria in quanto domanda deducibile (ed in concreto mai dedotta) nel giudizio ad oggetto risarcitorio.
1.5. A seguito dell'annullamento in sede giurisdizionale degli atti recanti l’approvazione del progetto dell’opera e la connessa dichiarazione implicita di pubblica utilità (conseguente all’applicazione della legge n. 1 del 1978), nonché in via consequenziale il provvedimento prefettizio autorizzativo della occupazione d’urgenza, non osta all'accoglimento della domanda restitutoria il fatto che il terreno illegittimamente appreso sia stato irreversibilmente trasformato con la realizzazione di un'opera pubblica, se dopo la definitiva pronuncia caducatoria, nessun atto della procedura espropriativa risulta adottato: il decreto di esproprio o, in sua alternativa, atti (di acquisizione sanante o di cessione volontaria) che abbiano potuto avere l’analogo effetto del trasferimento alla mano pubblica del bene privato. 
1.6. L’intervenuta realizzazione dell'opera pubblica non fa venire meno l'obbligo dell'amministrazione di restituire al privato il bene illegittimamente appreso, in quanto deve ritenersi superata (e non più ammessa dall’ordinamento) l’interpretazione che riconnetteva alla costruzione dell'opera pubblica e all’irreversibile trasformazione effetti preclusivi o limitativi della tutela in forma specifica del privato illegittimamente ablato (cfr. Cons. St., Sez. IV, 30 gennaio 2006, n. 290; 7 aprile 2010, n. 1983). In base alla sopravvenuta giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, deve ritenersi che il quadro normativo e giurisprudenziale nazionale previgente non fosse aderente alla Convenzione europea e, in particolare, al Protocollo addizionale n. 1 (sentenza Cedu 30 maggio 2000, ric. 31524/96). In tale ultima decisione i giudici di Strasburgo hanno infatti ritenuto che la realizzazione dell’opera pubblica non costituisca impedimento alla restituzione dell'area illegittimamente espropriata, e ciò indipendentemente dalle modalità - occupazione acquisitiva o usurpativa - di acquisizione del terreno.

2. Natura permanente dell'illecito consistente nella realizzazione dell'opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato. Imprescrittibilità del diritto al risarcimento del danno, salvo perfezionamento dell'acquisto per usucapione. Inapplicabilità del termine decadenziale ex art. 30 c.p.a. quando la domanda risarcitoria sia diretta alla tutela di diritti e non di interessi legittimi.
2.1. Nel vigente contesto normativo e giurisprudenziale, il proprietario del terreno illegittimamente occupato dall’amministrazione, ottenuta la declaratoria di illegittimità dell'occupazione e l'annullamento dei relativi provvedimenti, può legittimamente domandare in giudizio sia il risarcimento del danno, sia la restituzione del terreno, previa la sua riduzione in pristino. 
2.2. La realizzazione dell'opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato è in sé un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell'acquisto, come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà, per cui solo il formale atto di acquisizione dell'amministrazione può essere in grado di limitare il diritto alla restituzione, non potendo rinvenirsi atti estintivi (rinunziativi o abdicativi, che dir si voglia) della proprietà in fatti o comportamenti materiali (Cons. Stato, sez. IV: 29 agosto 2012, n. 4650; 27 gennaio 2012, n. 427).
2.3. L’azione restitutoria, essendo posta a riparazione di un illecito permanente (i.e., l’occupazione sine titulo; cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 novembre 2012, n. 6012), è imprescrittibile e può essere proposta senza limiti di tempo (salvi gli effetti della usucapione).
2.4. L'azione restitutoria non soggiace al termine decadenziale di 120 giorni previsto dall’art. 30, comma 3, del Codice per il processo amministrativo, il quale riguarda la domanda di risarcimento per lesioni di interessi legittimi, mentre a seguito dell'annullamento degli atti di natura ablatoria il ricorrente agisce a tutela del diritto di proprietà, tuttora leso dal possesso altrui (da qualificare sine titulo).

3. Applicabilità dell'art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001 alle occupazioni sine titulo anteriori alla sua entrata in vigore.
3.1. Ancorché sia ammissibile e fondata la domanda restitutoria formulata dal privato che lamenti l'illegittima apprensione di propri beni a cagione di una procedura espropriativa illegittima, il G.A. non può tuttavia omettere di considerare che sul terreno oggetto di causa insista un'opera di pubblica utilità (nella specie una stazione ferroviaria e opere infrastrutturali essenziali per l’esercizio del servizio pubblico di trasporto).
3.2. L’Autorità espropriante dispone oggi dello strumento giuridico idoneo ad acquisire definitivamente alla mano pubblica l’area ove sorgono la stazione ferroviaria e le opere annesse, corrispondendo ai legittimi proprietari il giusto indennizzo, che è dato dall’art. 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001(recante il Testo unico in materia di espropriazione per pubblica utilità), introdotto a seguito della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 43 dello stesso Testo unico, per difetto di delega, pronunciata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 293 del 2010. L’art. 42 bis, infatti, come già in precedenza evidenziato da questo Consiglio di Stato riguardo all’analoga ratio dell’art. 43 (Sez. IV, 16 novembre 2007, n. 5830), è stato emanato per consentire una ‘legale via di uscita’ per i moltissimi casi in cui una pubblica amministrazione (ovvero un soggetto privato da essa immesso nel possesso di un bene altrui in esecuzione di una ordinanza di occupazione d’urgenza) avesse occupato senza titolo un’area di proprietà privata, in assenza di un valido ed efficace decreto di esproprio.
3.3. L’art. 42-bis, inserito nel Testo unico degli espropri dal decreto legge 6 luglio 2011, n. 98 (art. 34), convertito nella legge n. 2011, ha dunque reintrodotto, con diversa disciplina, il potere discrezionale già attribuito dall’art. 43: l’amministrazione - valutate le circostanze e comparati gli interessi in conflitto – può decidere se demolire in tutto o in parte l’opera (affrontando le relative spese) e restituire l’area al proprietario, oppure se disporre l’acquisizione (evitando che sia demolito, paradossalmente, quanto altrimenti risulterebbe meritevole di essere ricostruito). L’art. 42 bis prevede infatti, al comma 1, che l’Amministrazione, valutati gli interessi in conflitto, possa disporre, con formale provvedimento, l’acquisizione del bene, con la corresponsione al privato di un indennizzo per il pregiudizio subito, patrimoniale e non patrimoniale; al comma 8 prevede poi che le sue disposizioni “trovano altresì applicazione ai fatti anteriori”, sicché esso si applica senza alcun dubbio anche nella fattispecie in esame. 
3.4. Nell’attuale quadro normativo, l’Amministrazione ha l’obbligo giuridico di far venir meno la occupazione sine titulo e cioè deve adeguare la situazione di fatto a quella di diritto. In particolare, la stessa o deve disporre la restituzione del terreno ai legittimi titolari, demolendo quanto realizzato e disponendo la riduzione in pristino, oppure deve attivarsi perché vi sia un titolo di acquisto dell’area da parte del soggetto attuale possessore. Nel caso di specie la rilevanza dell’art. 42 bis citato appare indubbia, poiché sull’area occupata senza titolo (in base agli atti annullati in sede di giustizia amministrativa) sono state realizzate opere di sicuro interesse pubblico, in quanto funzionali all’esercizio di un servizio pubblico essenziale (quale appunto il trasporto ferroviario).
3.5. In assenza di atti di natura acquisitiva o ablatoria o di contratti di acquisto delle relative aree, sussiste il potere-dovere del G.A. di avvalersi (anche per il tramite del commissario ad acta) di tutti i mezzi per far luogo – con le necessarie cautele per la pubblica incolumità –alla materiale rimozione delle opere che attualmente risultano sui terreni in proprietà degli appellanti, per disporne la restituzione conformemente alla loro domanda (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 1° dicembre 2011, n. 6351). Tuttavia, in attesa delle determinazioni che gli organi competenti assumeranno ai sensi dell’art. 42 bis, il G.A. non può che tenere in debito conto le esigenze di interesse pubblico che militano nel senso del provvisorio mantenimento della rete e della stazione ferroviaria. Va dunque disposto che l'Autorità che ebbe ad autorizzare l'occupazione d'urgenza (nella specie il Prefetto di Firenze) gestisca l’emanazione dell’atto di acquisizione ex art. 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001 ovvero la materiale demolizione delle opere al fine restitutorio.

Cons. St., Sez. 6, 10 maggio 2013, n. 02559
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