Accedi a LexEureka

Motivazione degli atti amministrativi

Atto amministrativo e silenzio della P.A. Giustizia amministrativa

Applicabilità dell'art. 73, comma 3°, c.p.a. in sede cautelare. Onere di specificità dei motivi di appello. Principi in tema di motivazione del provvedimento amministrativo
Cons. St., Sez. 5, Sentenza Breve 11 dicembre 2013, n. 05957

Principio

1. Applicabilità dell'art. 73, comma 3°, c.p.a. in sede cautelare.
L’art. 73, comma 3, c.p.a. reca una disposizione applicabile in sede cautelare: a) tale previsione è posta a tutela del diritto di difesa e del contraddittorio tra le parti, si applica pertanto ogni qual volta il Giudice debba adottare una decisione ed è manifestazione del principio del giusto processo; b) l'art. 60 comma 3 c.p.a. prevede alcune ipotesi nelle quali il legislatore ha rimarcato l’importanza di sottoporre determinate questioni all’attenzione delle parti ex art. 73, comma 3, c.p.a., così chiarendo il suo rilievo anche in sede di appello cautelare su ordinanza; c) l’art. 98 c.p.a. richiama espressamente in quanto applicabili tutte le norme dettate nel Libro II, Titolo II e tra queste evidentemente quella contenuta nell’art. 60 c.p.a., che prevede la possibilità di definire il giudizio con sentenza breve all’esito dell’udienza cautelare, assicurando tra l’altro, come avviene grazie anche all’applicazione dell’art. 73, comma 3, c.p.a., il pieno rispetto del contraddittorio.

2. Onere di specificità dei motivi di appello.
2.1. Ai sensi dell’art. 101 c.p.a., l’atto di appello deve contenere le specifiche censure contro i capi della sentenza gravata; cosicché non possono essere esaminati motivi di primo grado che sono stati oggetto di espressa valutazione nella pronuncia gravata. 
2.2. Possono essere meramente riproposti i soli motivi non esaminati o dichiarati assorbiti in primo grado. La mera riproposizione dei motivi di primo grado può essere giustificata solo quando manchi un’espressa ponderazione degli stessi da parte del Giudice di primo grado, non quando una valutazione vi sia stata (cfr. Cons. St., Ad. Plen., 3 giugno 2011, n. 10). In questo caso, infatti, la critica al ragionamento giuridico esposto nella pronuncia gravata deve essere portato con censure specifiche, altrimenti il ricorso al Giudice di primo grado verrebbe svuotato di contenuto sostanziale, apparendo quale mera condizione per poter ottenere una seconda valutazione dei vizi oggetto del ricorso introduttivo. Pertanto, la valutazione del Giudice di appello non può che avere ad oggetto le doglianze specificatamente contenute nell’atto di gravame.

3. Principi in tema di motivazione del provvedimento amministrativo.
3.1. In tema di motivazione del provvedimento amministrativo, occorre tenere conto di quanto disposto dall’art. 3, della legge n. 241/90, il quale impone che il provvedimento estrinsechi le ragioni di fatto e di diritto sulle quali poggia la determinazione amministrativa.
3.2. Allorquando la PA abbia adottato atti presupposti (nella specie il Piano di massima occupabilità del Comune di Roma), si ha che l’amministrazione ha posto un auto vincolo al successivo dispiegarsi dell’azione amministrativa, tale che appare sufficiente il richiamo contenuto negli atti applicativi ai provvedimenti presupposti per rendere edotto il destinatario dello stesso delle motivazioni dell'atto stesso.
3.3. Posto che la motivazione dell'atto amministrativo assolve la funzione di rendere palesi le ragioni che hanno indotto l'Amministrazione ad adottare il provvedimento al fine di consentire il successivo ed eventuale sindacato di legittimità, quando l'attività amministrativa è vincolata tale funzione deve considerarsi assolta se il provvedimento indichi con precisione i presupposti di fatto e di diritto la cui presenza o la cui mancanza ne hanno reso necessaria l'adozione, senza che occorrano ulteriori e più ampie garanzie rivolte a confutare analiticamente le deduzioni svolte dalle parti interessate (cfr. Cons. St., Sez. IV, 1 ottobre 2004, n. 6361; Sez. VI, 9 settembre 2003, n. 5044). 
3.4. L'invocazione del difetto motivazionale in sede giurisdizionale non determina un’inversione dell’onere della prova, ma al contrario un’espressione del principio più generale contenuto nell’art. 2697 c.c.. secondo il quale onus probandi incumbit ei qui dicit. 

Cons. St., Sez. 5, 11 dicembre 2013, n. 05957
Caricamento in corso