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La competenza del Ministero dell'ambiente in presenza di materiale riciclabile.

Igiene e sanità

Sulla competenza in capo al Ministero dell'ambiente ai fini dell'individuazione di materiale da considerarsi non più come rifiuto, in quanto riciclabile.
Cons. St., Sez. 4, Sentenza 28 febbraio 2018, n. 01229

Premassima

1. La competenza ad individuare le tipologie di materiale da non considerare più come rifiuti, in quanto riciclabili, deve riconoscersi in capo al Ministero dell'ambiente.

Principio

1. La competenza ad individuare le tipologie di materiale da non considerare più come rifiuti, in quanto riciclabili, deve riconoscersi in capo al Ministero dell'ambiente.

Il Supremo Consesso in tema di competenza circa l'individuazione di materiale da considerarsi riciclabile e quindi non qualificabile come rifiuto richiama all'attenzione l’art. 6 della direttiva 19 novembre 2008 n. 2008/98/CE, rubricato “cessazione della qualifica di rifiuto”, il quale statuisce espressamente che: a) la disciplina della cessazione della qualifica di “rifiuto” è riservata alla normativa comunitaria; b) la ricetta normativa ha previsto che sia comunque possibile per gli Stati membri valutare altri casi di possibile cessazione; c) tale prerogativa tuttavia compete allo Stato e precisamente al Ministero dell’Ambiente, il quale deve provvedere con propri regolamenti. Inoltre, sul punto, osserva il Collegio che l’art. 184-ter d. lgs. 3 aprile 2006 n. 152, prevede in particolare quanto segue. In particolare un rifiuto cessa di essere tale, quando è stato sottoposto a un'operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni: a) la sostanza o l'oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici; b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto; c) la sostanza o l'oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; d) l'utilizzo della sostanza o dell'oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull'ambiente o sulla salute umana. L’art. 184-ter innanzi riportato, nel dare attuazione a quanto previsto dalla direttiva n. 98 cit., prevede pertanto, per quanto attiene alla possibile cessazione “caso per caso” della qualifica di rifiuto in assenza di criteri comunitari, sia una disciplina “a regime”, sia una disciplina “transitoria”. La prima, riservata allo Stato, e precisamente a regolamenti del Ministero dell’Ambiente, riguarda l’individuazione di “specifiche tipologie di rifiuto”, prevedendosi altresì “se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti” e considerando “i possibili effetti negativi sull'ambiente della sostanza o dell'oggetto”. La seconda, prevede la vigenza di una pluralità di disposizioni di rango diverso, nelle more dell’adozione dei regolamenti ministeriali. In conclusione, in ossequio alle disposizioni citate, può affermarsi che se, in linea generale, la disciplina della cessazione della qualifica di “rifiuto” è riservata alla normativa comunitaria, la stessa ha tuttavia consentito che, in assenza di proprie previsioni, gli Stati membri possano valutare caso per caso tale possibile cessazione, dandone informazione alla Commissione, fermo restando che il destinatario del potere di determinare la cessazione della qualifica di rifiuto è, per la Direttiva, lo “Stato” ed in specie il Ministero dell'Ambiente.

Cons. St., Sez. 4, 28 febbraio 2018, n. 01229
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