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La Corte di Giustizia dell' UE: rimessa la questione sul criterio dell'affidamento in house.

Contratti pubblici

Sulla rimessione alla Corte di Giustizia dell'UE della questione dell'affidamento in house ex art. 192, co. 2, Cod. Contratti pubblici.
Cons. St., Sez. 5, Ordinanza ORDINANZA COLLEGIALE 14 gennaio 2019, ord. n. 00293

Premassima

1. E' rimessa alla Corte di giustizia dell' UE la questione se il diritto dell’Unione europea si pone in contrasto rispetto alla normativa nazionale di cui all' art. 192, comma 2, del ‘Codice dei contratti pubblici, il quale colloca gli affidamenti in house su un piano subordinato ed eccezionale rispetto agli affidamenti tramite gara di appalto, consentendo da una parte, tali affidamenti soltanto in caso di dimostrato fallimento del mercato rilevante, nonché imponendo, dall'altra, all’amministrazione che intenda operare un affidamento in regime di delegazione interorganica di fornire una specifica motivazione in ordine ai benefici per la collettività connessi a tale forma di affidamento.

Principio

1. E' rimessa alla Corte di giustizia dell' UE la questione se il diritto dell’Unione europea si pone in contrasto rispetto alla normativa nazionale di cui all' art. 192, comma 2, del ‘Codice dei contratti pubblici, il quale colloca gli affidamenti in house su un piano subordinato ed eccezionale rispetto agli affidamenti tramite gara di appalto, consentendo da una parte, tali affidamenti soltanto in caso di dimostrato fallimento del mercato rilevante, nonché imponendo, dall'altra, all’amministrazione che intenda operare un affidamento in regime di delegazione interorganica di fornire una specifica motivazione in ordine ai benefici per la collettività connessi a tale forma di affidamento.

Il Consiglio di Stato, in riferimento alla quaestio iuris di cui in massima, osserva che le disposizioni del diritto interno, nel subordinare gli affidamenti in house a condizioni aggravate e a motivazioni rafforzate rispetto alle altre modalità di affidamento, siano compatibili con le pertinenti disposizioni e principi del diritto primario e derivato dell’Unione europea. In vero, la disposizione di cui all’art. 192, comma 2, del Codice degli appalti pubblici (rectius: d. lgs. n. 50 del 2016) impone che l’affidamento in house di servizi disponibili sul mercato sia assoggettato ad una duplice condizione, che non è richiesta per le altre forme di affidamento dei medesimi servizi, in specie riguardo alla messa a gara con appalti pubblici e alle forme di cooperazione orizzontale fra amministrazioni. La prima condizione consiste nell’obbligo di motivare le condizioni che hanno comportato l’esclusione del ricorso al mercato e muove dal ritenuto carattere secondario e residuale dell’affidamento in house, che sembra poter essere l disposto soltanto in caso di dimostrato ‘fallimento del mercato’ rilevante a causa di prevedibili mancanze in ordine a “gli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche” (risultando altrimenti tendenzialmente precluso), cui la società in house invece supplirebbe. La seconda condizione consiste nell’obbligo di indicare quali siano gli specifici vantaggi per la collettività connessi all’opzione per l’affidamento in house. In tal caso, la Quinta Sezione rammenta che la previsione dell’ordinamento nazionale di forme di motivazione aggravata per supportare gli affidamenti in house muove da un orientamento di sfavore verso gli affidamenti diretti in regime di delegazione interorganica e li isola rispetto ad un ambito subordinato ed eccezionale rispetto alla previa ipotesi di competizione mediante gara tra imprese. All'uopo si richiama l'attenzione alla sentenza del 17 novembre 2010, n. 325 emessa dalla Consulta, la quale ha riconosciuto alla legge di poter prevedere “limitazioni dell'affidamento diretto più estese di quelle comunitarie”, di modo da restringere ulteriormente le eccezioni alla regola della gara ad evidenza pubblica, per le quali il diritto dell’UE avrebbe solo previsto un minimo inderogabile. Tra l'altro la stessa giurisprudenza costituzionale ha precisato con altre pronunce che l’affidamento in regime di delegazione interorganica costituisce “un’eccezione rispetto alla regola generale dell’affidamento a terzi mediante gara ad evidenza pubblica” (Cfr. Corte cost. 20 marzo 2013, n. 46). Sicchè osserva il Consesso che si tratta, quindi, di stabilire se questo restrittivo orientamento dell’ordinamento italiano in tema di affidamenti in house risulti conforme con i principi e disposizioni del diritto dell’Unione europea. A tal proposito il Collegio ha osservato che, in tema di acquisizione dei servizi di interesse degli organismi pubblici, si affrontano due principi generali la cui contestuale applicazione può comportare antinomie. Si pensi, da un lato, al principio della libertà e autodeterminazione, per i soggetti pubblici, di organizzare come meglio stimano le prestazioni dei servizi di rispettivo interesse, senza che vincoli di particolare modalità gestionale derivanti dall’ordinamento dell’UE o da quello nazionale (ad es.: regime di affidamento con gara) rispetto a un'altra (ad es.: regime di internalizzazione ed autoproduzione); dall’altro al principio della piena apertura concorrenziale dei mercati degli appalti pubblici e delle concessioni. La giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE, dall' altro canto, ha chiarito che l’ordinamento comunitario non pone limiti alla libertà, per le amministrazioni, di optare per un modello gestionale di autoproduzione, piuttosto che su un modello di esternalizzazione. Ciò posto, si pone a questo punto la questione della conformità fra i richiamati principi e disposizioni del diritto dell’Unione europea e le previsioni del diritto nazionale italiano (in particolare, il comma 2 dell’art. 192 del Codice degli appalti pubblici del 2016) i quali pongono, invece, gli affidamenti in house in una posizione subordinata e subvalente e li ammettono soltanto in caso di dimostrato ‘fallimento del mercato’ di riferimento e a condizione che l’amministrazione dimostri in modo puntuale gli specifici benefici per la collettività connessi a tale forma di gestione. Alla luce di quanto rilevato, il Collegio ritiene necessario rimettere la questione alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, così da poter chiarire se i singoli ordinamenti nazionali possano legittimamente porre una di tali forme di affidamento e gestione su un piano che si presume subordinato, assegnando comunque la priorità e la prevalenza al principio di apertura concorrenziale rispetto a quello della libera organizzazione delle amministrazioni pubbliche, tenuto conto della riflessione giuridica in forza della quale, ad avviso della Quinta Sezione, le restrittive condizioni poste dal diritto italiano potrebbero giustificarsi in relazione ai principi e alle disposizioni del diritto dell’UE soltanto a condizione che lo stesso riconosca a propria volta priorità sistemica al principio di messa in concorrenza rispetto a quello della libera organizzazione.

Cons. St., Sez. 5, 14 gennaio 2019, ord. n. 00293
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