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Interdittiva antimafia: il condizionamento mafioso

Sicurezza pubblica

Sulla sussistenza del condizionamento mafioso, che porta all' interdittiva antimafia, desumibile dalla presenza anche di un solo dipendente.
Cons. St., Sez. 3, Sentenza 14 settembre 2018, n. 05410

Premassima

1. Il condizionamento mafioso, che porta all'interdittiva antimafia, si può desumere anche dalla presenza di un solo dipendente “infiltrato”, del quale la mafia si serva per controllare o guidare dall’esterno l’impresa, nonché dall’assunzione o dalla presenza di dipendenti aventi precedenti legati alla criminalità organizzata, nonostante non ermergano specifici riscontri oggetti sull’influenza nelle scelte dell’impresa.

Principio

1. Il condizionamento mafioso, che porta all'interdittiva antimafia, si può desumere anche dalla presenza di un solo dipendente “infiltrato”, del quale la mafia si serva per controllare o guidare dall’esterno l’impresa, nonché dall’assunzione o dalla presenza di dipendenti aventi precedenti legati alla criminalità organizzata, nonostante non ermergano specifici riscontri oggetti sull’influenza nelle scelte dell’impresa.

Il Supremo Consesso in ordine all' interdittiva antimafia ha osservato che essa è volta alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della P.A.. In specie, al fine dell’adozione del provvedimento interdittivo, rileva il complesso degli elementi concreti emersi nel corso del procedimento: una visione ‘parcellizzata’ di un singolo elemento, o di più elementi, non può che far perdere a ciascuno di essi la sua rilevanza nel suo legame sistematico con gli altri. Sicchè risulta estranea al sistema delle informative antimafia, qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio. Il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato in base al criterio del più «probabile che non», alla luce di una regola di giudizio, cioè, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, come quello mafioso. Pertanto, gli elementi posti a base dell’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione.
Inoltre ha rilevato il Collegio che quanto ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa e familiari quali soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose, la P.A. può dare loro rilievo laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità, o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del «più probabile che non», che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare, ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia
. In altri termini, da quanto osservato si desume che il condizionamento mafioso, che porta all’interdittiva, può derivare sia dalla presenza di soggetti che non svolgono ruoli apicali all’interno della società, ma siano o figurino come meri dipendenti, entrati a far parte dell’impresa senza alcun criterio selettivo e filtri preventivi; sia dalla presenza di un solo dipendente 'infiltrato', del quale la mafia si serva per controllare o guidare dall’esterno l’impresa, nonché dall’assunzione o dalla presenza di dipendenti aventi precedenti legati alla criminalità organizzata, nonostante non ermergano specifici riscontri oggettivi sull’influenza nelle scelte dell’impresa.

Cons. St., Sez. 3, 14 settembre 2018, n. 05410
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