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Illecita trasformazione di beni privati. Risarcimento dei danni non patrimoniali

Espropriazione per pubblica utilità Giustizia amministrativa

1. Vizio di omessa pronuncia. 2. Motivi assorbiti nella sentenza di primo grado. Formazione del giudicato. Esclusione. 3. Illecita trasformazione di un bene privato all'esito di procedura ablatoria illegittima, risarcimento del danno e solidarietà passiva tra soggetti pubblici e privati che collaborino alla realizzazione di opere pubbliche. Il caso della concessione traslativa. 4. Illecita trasformazione di un bene privato all'esito di procedura ablatoria illegittima, risarcimento del danno per perdita di beni abusivi. Esclusione. 5. Illecita trasformazione di un bene privato all'esito di procedura ablatoria illegittima, risarcimento del danno non patrimoniale. Danno esistenziale. Esclusione. 6. Onere della prova in tema di ristoro del danno patrimoniale per atti o comportamenti illegittimi della PA. 7. Liquidazione delle spese di giudizio. Limiti entro cui la decisione del giudice amministrativo può essere censurata in grado di appello
Cons. St., Sez. 4, Sentenza 10 gennaio 2014, n. 00046

Principio

1. Vizio di omessa pronuncia.
L'omessa pronuncia su una o più censure proposte col ricorso giurisdizionale non configura un error in procedendo tale da comportare l'annullamento della decisione, con contestuale rinvio della controversia al giudice di primo grado, ma solo un vizio dell'impugnata sentenza che il giudice di appello è legittimato ad eliminare integrando la motivazione carente o, comunque, decidendo del merito della causa.( ex aliis Consiglio Stato , sez. IV, 19 giugno 2007, n. 3289: oggi, vedasi art. 105 del cpa)

2. Motivi assorbiti nella sentenza di primo grado. Formazione del giudicato. Esclusione.
Nel processo amministrativo, il giudicato può formarsi solo in relazione a capi di sentenza che si pronunciano sui motivi, e non può formarsi, invece, laddove i motivi di ricorso non vengano esaminati perché assorbiti.

3. Illecita trasformazione di un bene privato all'esito di procedura ablatoria illegittima, risarcimento del danno e solidarietà passiva tra soggetti pubblici e privati che collaborino alla realizzazione di opere pubbliche. Il caso della concessione traslativa.
3.1. Nel caso di realizzazione di opere pubbliche cui collaborino pubbliche amministrazioni e soggetti delegati, l'obbligazione al risarcimento del danno da occupazione appropriativa ha natura solidale - fatta salva l'ipotesi in cui la solidarietà sia esclusa per espressa, eccezionale, previsione normativa; il proprietario può rivolgersi indifferentemente contro ciascuno od alcuni soltanto dei soggetti che hanno preso parte alla vicenda appropriativa, senza che sia configurabile alcuna necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri coobbligati non evocati in giudizio (Cass. civ., Sez. I, 9 ottobre 2007, n. 21096). 
3.2. Nel caso di realizzazione di opere pubbliche cui collaborino pubbliche amministrazioni e soggetti delegati, qualora il bene appreso sia trasformato illecitamente, quanto al riparto di responsabilità tra delegante e delegato, anche se il contributo causale determinante alla produzione del danno è ascrivibile all'autore materiale, ovvero al soggetto incaricato dell'esecuzione dei lavori, mediante le opere che hanno cagionato l'irreversibile trasformazione del fondo, questo non comporta che, attraverso la delega alla realizzazione dell'opera, l'amministrazione debba ritenersi in ogni caso esente dalle conseguenze lesive derivanti dall'esecuzione, in quanto sussiste a suo carico un obbligo di vigilanza, di diretta derivazione dai principi costituzionali di legalità, buon andamento, e imparzialità dell'amministrazione, oltre che dalla tutela del diritto di proprietà, del quale, ferma restandone la funzione sociale, deve garantire l'effettività, specie ove, attraverso strumenti di partecipazione dei privati all'esecuzione di opere di pubblico interesse, problemi di solvibilità di questi pongano in pericolo l'effettiva corresponsione dell'indennizzo in caso di espropriazione (Cass. civ., Sez. I, 9 ottobre 2007, n. 21096).
3.3. Nel caso di realizzazione di opere pubbliche cui collaborino pubbliche amministrazioni e soggetti delegati, qualora il bene appreso sia trasformato illecitamente, un esonero di responsabilità per il concedente potrebbe aver luogo soltanto nelle ipotesi di concessione traslativa. Tuttavia, il mero ricorso allo strumento della concessione traslativa con l'attribuzione al concessionario affidatario dell'opera, della titolarità di poteri espropriativi, non può comportare indiscriminatamente l'esclusione di ogni responsabilità al riguardo del concedente. Perché ciò avvenga è infatti necessario - in osservanza al principio di legalità dell'azione amministrativa - che l'attribuzione all'affidatario di detti poteri e l'accollo da parte sua degli obblighi indennitari siano previsti da una legge che espressamente li autorizzi: non essendo altrimenti consentito alla p.a. disporne a sua discrezione onde sollevarsi dalle responsabilità che il legislatore le attribuisce (cfr. Cass., SS.UU., 20 marzo 2009, n. 6769).
3.4. Nel caso di concessione traslativa, ove la legge non preveda o non consenta l'attribuzione all'affidatario l'accollo da parte sua degli obblighi indennitari, l'accollo di essi, nel caso di illecita trasformazione del bene appreso, può essere utilmente invocato purché non sia rimasto fatto interno tra espropriante ed affidatario, e quest'ultimo nell'attività che lo abbia portato in contatto con il soggetto passivo dell'esproprio, si sia correttamente manifestato come titolare delle relative obbligazioni, oltre che investito dell'esercizio del potere espropriativo che in ogni altro caso si aggiunge la responsabilità del concedente a quella dell'affidatario quale che sia il contenuto della delega conferita a quest'ultimo, nonché delle pattuizioni tra detti soggetti intercorse (cfr. Cass., SS.UU., 20 marzo 2009, n. 6769).

4. Illecita trasformazione di un bene privato all'esito di procedura ablatoria illegittima, risarcimento del danno per perdita di beni abusivi. Esclusione.
4.1. In tema di espropriazione per p.u., gli immobili costruiti abusivamente non sono suscettibili di indennizzo, a meno che alla data dell'evento ablativo non risulti già rilasciata la concessione in sanatoria. Per essi, quindi, la liquidazione non può avvenire sulla scorta del valore venale complessivo dell'edificio e del suolo su cui il medesimo insiste ma sulla sola area, per evitare che l'abusività degli insediamenti possa concorrere (anche in via indiretta) ad accrescere il valore del fondo. La medesima regola vale anche per le ipotesi di cd. "espropriazione larvata" previste dall'art. 46 della L. n. 2359/1865, atteso il necessario raccordo tra indennizzo previsto da tale norma e indennità di espropriazione (anche se regolata da leggi speciali): questo, anche se il danno lamentato consiste proprio nella diminuzione di godimento dell' immobile abusivo, poiché è principio di carattere generale desumibile dalla normativa - sia urbanistica, che espropriativa (cfr. art. 16, comma 9, L. n. 865/1971) - quello per cui il proprietario non può trarre beneficio alcuno dalla sua attività illecita (Cfr. Cass., Sez. I, 14 dicembre 2007, n. 26260; Id. 18 luglio 2013, n. 17604).
4.2. Nel caso di illecita trasformazione di beni privati nell'ambito di una procedura ablatoria illegittima, il manufatto edificato illegittimamente, per l’ordinamento giuridico, non può essere fonte alcuna di locupletazione, in nessun caso, almeno sino a quando non sia stato sanato, secondo il consolidato principio che qui in re illicita versatur tenetur etiam pro casu. Il manufatto abusivo è nella sostanza incommerciabile (ex aliis, arg. Cass. civ. Sez. II, 5 ottobre 2012, n. 17028). La eventuale alienazione a terzi di esso non incide sulla oggettiva abusività del bene medesimo e sulla necessità che sia demolito ( ex aliis ancora di recente Cass. pen., Sez. III., 29 marzo 2007, n. 22853). Il manufatto abusivo non dovrebbe esistere: ove vi sia, ciò significa che si versa in stato di irregolarità, posto che invece, il manufatto avrebbe già dovuto essere abbattuto. Non è azzardato ritenere che, quanto alla possibilità che il proprietario del medesimo se ne avvantaggi in qualsiasi modo, essa è radicalmente esclusa dall’ordinamento, tanto da potere assimilare il manufatto abusivo, a tali limitati, fini, ad una res nullius (arg. ex art. 17 della legge n. 47/1985: oggi: art. 46 del dPR n. 380/2001). Detta situazione di illecito (di natura permanente: si veda ex aliis Cons. Stato Sez. VI, 18 settembre 2013, n. 4651 “il carattere permanente degli abusi edilizi -d.P.R. n. 380 del 2001 - T.U. Edilizia- comporta che il decorso del tempo non spieghi alcuna efficacia sanante nei confronti degli abusi stessi”, ma si veda anche tutta la costante elaborazione giurisprudenziale penalistica) preesisteva al fatto occupativo/ espropriativo illegittimo, e detta sopravvenienza non può integrare una inammissibile “interversione” tale da far considerare risarcibile ciò che certamente non lo era. L’illecito sopravvenuto, in altre parole, non vale a trasformare in diritto necessitante riparazione ciò che tale non era; che tale non era sotto il profilo oggettivo; che non rilevava in nessun senso per l’ordinamento giuridico.
4.3. Nel caso di illecita trasformazione di beni privati nell'ambito di una procedura ablatoria illegittima, il manufatto edificato illegittimamente, per l’ordinamento giuridico, non può essere fonte alcuna di locupletazione, non rilevando l’astratta sanabilità dell’opus, demandata peraltro alla lata discrezionalità dell’Amministrazione ed alla iniziativa del responsabile dell’abuso, ovviamente (che potrebbe decidersi ad avanzare domanda di condono proprio per lucrare non dovuti risarcimenti): sino a che l’immobile non sia stato sanato esso non riceve alcuna considerazione dell’ordinamento giuridico; integra condotta illecita permanente; per il principio di non contraddizione da tale illecito non può ricavarsi beneficio alcuno, neppure ove sul manufatto abbia inciso l’altrui azione non iure.

5. Illecita trasformazione di un bene privato all'esito di procedura ablatoria illegittima, risarcimento del danno non patrimoniale. Danno esistenziale. Esclusione.
Nel nostro ordinamento, non è ammissibile l'autonoma categoria di danno esistenziale, inteso quale pregiudizio alle attività non remunerative della persona, atteso che, ove in essa si ricomprendano i pregiudizi scaturenti dalla lesione di interessi della persona di rango costituzionale, ovvero derivanti da fatti-reato, essi sono già risarcibili ai sensi dell'art. 2059 c.c., interpretato in modo conforme a Costituzione. Pertanto, la liquidazione di una ulteriore posta di danno comporterebbe una duplicazione risarcitoria. Ove nel danno esistenziale si intenda includere pregiudizi non lesivi di diritti inviolabili della persona, tale categoria sarebbe del tutto illegittima, posto che simili pregiudizi sono irrisarcibili, in virtù del divieto di cui all'art. 2059 c.c. (cfr. Cons. St., Sez. IV, 5 settembre 2013, n. 4464).

6. Onere della prova in tema di ristoro del danno patrimoniale per atti o comportamenti illegittimi della PA.
6.1. Il danno non patrimoniale è una categoria unitaria, non suscettibile di divisioni in ulteriori sottocategorie. Pertanto, in presenza di una lesione di diritti inviolabili, come quello alla salute, il risarcimento dovrà essere commisurato al peggioramento della qualità della vita effettivamente dimostrato dalla vittima, mentre non trova più spazio la risarcibilità del c.d. danno morale "puro" o sofferenza d'animo, il quale perciò non rientra tra le conseguenze dannose che possano formare oggetto di prova (cfr. Cass., Sez. VI, ord. 14 maggio 2013, n. 11514).
6.2. Anche un evento non incidente su un bene personalissimo quale la salute può provocare un pregiudizio non patrimoniale; nel giudizio amministrativo spetta al ricorrente, che assume di aver subito un danno dall'adozione di un provvedimento illegittimo o anche da un comportamento della P.A., l'onere della prova, secondo il principio generale fissato dall'art. 2697 c.c. non potendo a tanto supplire il soccorso istruttorio del giudice, trattandosi di prove che sono nella piena disponibilità della parte (Cons. St., Sez. III, 19 luglio 2013, n. 3943). Il danno non patrimoniale diverso da quello alla salute non sfugge all’ordinario criterio di riparto dell’onere probatorio ex art. 2697 cc e possa integralmente desumersi da presunzioni a loro volta soltanto labialmente affermate (cfr. Cass., Sez. lavoro, 18 luglio 2013, n. 17585).
6.3. Nel giudizio amministrativo, vige il generale principio processualistico di cui all’art. 2697 c.c. in base al quale incombe sulla parte attrice l’onere di indicare e dimostrare specificamente i fatti posti a fondamento della pretesa azionata. Tale principio- che subisce un’attenuazione nell’ipotesi in cui il giudizio verta su interessi legittimi, per effetto dell’intermediazione del provvedimento amministrativo- trova piena applicazione in sede di giurisdizione esclusiva in cui si verte di diritti soggettivi (cfr. T.A.R. Basilicata, Sez. I, 10 settembre 2010, n. 616). 
6.4. Nel processo amministrativo, nei casi di giurisdizione esclusiva, ove si facciano valere pretese patrimoniali, il principio dell’onere della prova si applica nella sua pienezza, non essendo consentito al Giudice di supplire all’attività istruttoria delle parti, per lo meno quando nessuna situazione di inferiorità sia dedotta dal ricorrente, né sia in concreto ravvisabile, in ordine alla disponibilità del materiale documentale necessario per provare i fatti allegati (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 14 dicembre 2011, n. 6573).

7. Liquidazione delle spese di giudizio. Limiti entro cui la decisione del giudice amministrativo può essere censurata in grado di appello.
7.1. La decisione del giudice di merito in materia di spese processuali è censurabile in sede di legittimità, sotto il profilo della violazione di legge, soltanto quando le spese siano state poste, totalmente o parzialmente, a carico della parte totalmente vittoriosa; non è invece sindacabile, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione, l'esercizio del potere discrezionale del giudice di merito sull'opportunità di compensare, in tutto o in parte le spese medesime. Tali principi trovano applicazione non soltanto quando il giudice abbia emesso una pronuncia di merito, ma anche quando egli si sia limitato a dichiarare l'inammissibilità o l'improcedibilità dell'atto introduttivo del giudizio. Infatti, pure in tali ultimi casi sussiste pur sempre una soccombenza, sia pure virtuale, di colui che ha agito con un atto dichiarato inammissibile o improcedibile che consente al giudice di compensare parzialmente o totalmente le spese, esercitando un suo potere discrezionale che, nel caso specifico considerato, ha come suo unico limite il divieto di condanna della parte vittoriosa e che si traduce in un provvedimento che rimane incensurabile in cassazione purché non illogicamente motivato (cfr. Cass., Sez. lav., 27 dicembre 1999, n. 14576).
7.2. La statuizione del primo giudice sulle spese e sugli onorari di giudizio costituisce  espressione di un ampio potere discrezionale, come tale insindacabile in sede di appello, fatta eccezione per l'ipotesi di condanna della parte totalmente vittoriosa, oppure per il caso che la statuizione sia manifestamente irrazionale o si riferisca al pagamento di somme palesemente inadeguate (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 30 dicembre 2005, n. 7581).

Cons. St., Sez. 4, 10 gennaio 2014, n. 00046
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