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Fonti energetiche rinnovabili

Energia, idrocarburi e risorse geotermiche Atto amministrativo e silenzio della P.A. Giustizia amministrativa

Sul termine massimo per la conclusione del procedimento in tema di procedure autorizzative relative ad impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili
Cons. St., Sez. 5, Sentenza 9 settembre 2013, n. 04473

Principio

1. Sul termine massimo per la conclusione del procedimento in tema di procedure autorizzative relative ad impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili.
1.1. L'art. 2 della l. n. 241/1990, che racchiude uno dei principi fondamentali dell'ordinamento in tema di azione amministrativa, sancisce l'obbligo per l'amministrazione di concludere ogni procedimento con provvedimento espresso entro un termine certo, che è quello generale fissato dal comma 3 di detto articolo o quello indicato da specifiche disposizioni.
1.2. In tema di procedure autorizzative relative ad impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, il termine massimo di 180 giorni dalla presentazione della richiesta, entro il quale deve concludersi, ex art. 12 del d.lgs. n. 387/2003, il procedimento per il rilascio dell’autorizzazione unica, oltre che ad essere perentorio (Corte Cost., sentenze n. 364/2006, e n. 282/2009) risponde a evidenti finalità di semplificazione e accelerazione, sicché esso termine può essere qualificato come principio fondamentale in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia (Corte Cost. 9 novembre 2006, n. 364, Consiglio di Stato, sez. V, 23 ottobre 2012, n. 5413, 21 novembre 2012, n. 5895 e 15 maggio 2013 n. 2634). A tanto consegue che la mancata adozione di un provvedimento espresso sulla richiesta autorizzazione unica nel complessivo termine perentorio di 180 giorni entro cui deve concludersi il relativo procedimento è del tutto ingiustificata e configura un sostanziale inadempimento.
1.3. Poiché al complessivo e perentorio termine di 180 giorni ex art. 12 D.Lgs. n. 387/2003 anche le Regioni, nell'esercizio delle proprie competenze legislative e amministrative, devono attenersi, deve prescindersi da ogni attività endoprocedimentale eventualmente svolta o da svolgersi, poiché rileva soltanto il decorso del termine fissato dalla legge senza che l’Amministrazione abbia concluso il procedimento mediante provvedimento espresso. Pertanto, la circostanza che tutti gli atti di assenso debbano confluire nel procedimento di autorizzazione unica presuppone solo che esso sia stato avviato, senza che la Regione possa rimanere silente, tantomeno a causa dell’inerzia di altri enti deputati al rilascio di atti destinati a confluire nell’autorizzazione, né che la Regione possa in tal modo sottrarsi all’obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso.
1.4. Nelle ipotesi in cui il competente ufficio regionale effettui una richiesta di ulteriore integrazione della prodotta documentazione, anche se motivata sulla base di carenze documentali non contestate, pur se esclude che l'autorità regionale fosse completamente inadempiente nei confronti della parte interessata, trattandosi di un onere documentale che spetta a quest’ultima, non impedisce, tuttavia, di ritenere illegittima l’inerzia dell’Amministrazione ai fini della conclusione del procedimento di autorizzazione ex D.Lgs. n. 387/2003, il cui termine è giuridicamente rilevante per concretizzare il giudizio di inadempimento dell’Amministrazione, tenuto altresì conto che i tempi stabiliti dalle normative regionali sul procedimenti al riguardo, ove più lunghi, devono ritenersi abbreviati al fine di restare nei termini massimi imposti da detto art. 12 del d.lgs. n. 387/2003 (Consiglio di Stato, sez. V, 15 maggio 2013, n. 2634). Sussiste quindi l'obbligo dell'autorità regionale titolare del potere di rilasciare autorizzazioni ex D.Lgs. n. 387/2003 di condurre il procedimento nel rispetto della normativa di settore, espressione dei principi di economicità, e di efficacia dell'azione amministrativa, nonché dei principi dell'ordinamento comunitario, concludendo lo stesso nel termine tassativamente prescritto.

2. Irrilevanza di atti procedimentali eventualmente adottati, nel corso del giudizio avverso il silenzio della PA, a determinare la cessazione della materia del contendere.
2.1. La sopravvenuta carenza di interesse sussiste quando nelle more del processo si verifica una modificazione della situazione di fatto o di diritto tale da comportare per il ricorrente l'inutilità dell'eventuale sentenza di accoglimento del ricorso, in quanto non è più configurabile in capo ad esso un interesse anche solo strumentale o morale rispetto alla decisione (Consiglio di Stato, sez. V, 21 giugno 2003, n. 632).
2.2. In relazione a procedure autorizzative di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, poiché sia l'art. 2 della legge n. 241/1990 che l’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003 stabiliscono che l'amministrazione ha il dovere di concludere il relativo procedimento con un provvedimento espresso e motivato, ne consegue che l’adempimento di detto obbligo si realizza solo mediante l'adozione del provvedimento finale, entro i termini stabiliti dalla legge o dai regolamenti, in quanto è proprio l'emanazione di esso provvedimento che costituisce l'oggetto dell'obbligo di provvedere gravante (in base a dette norme) sull'Amministrazione e solo l'emanazione del provvedimento conclusivo del procedimento fa venire meno l'inerzia dell'amministrazione. Di conseguenza, la semplice adozione di un atto endoprocedimentale, come la comunicazione dei motivi ostativi ex art. 10 bis della l. n. 241/1990, non estingue l'obbligo di provvedere e non fa venire meno l'inerzia dell'amministrazione, perché non coincide con l'emanazione del provvedimento finale, oggetto dell'obbligo di provvedere.
2.3. Allorquando risulti violato dall'amministrazione procedente il termine di conclusione del procedimento, l'avvio del procedimento e la trasmissione dell'avviso dei motivi ostativi comunque non possono soddisfare la pretesa del ricorrente ad ottenere un provvedimento espresso, né rendere inutile la decisione del ricorso, atteso che solo la declaratoria giurisdizionale dell'obbligo di provvedere e dell'illegittimità del silenzio attribuisce con sicurezza al ricorrente la possibilità di ottenere, anche tramite la nomina di un commissario “ad acta”, un provvedimento espresso e motivato sull'istanza proposta.
2.4. Ove, nel corso del giudizio avverso il silenzio, intervenga la comunicazione dei motivi ostativi alla conclusione del procedimento di autorizzazione ex art. 12 D.Lgs. n. 387/2003, ciò non comporta la cessazione della materia del contendere, perché parte ricorrente non ha in ogni caso ottenuto il solo risultato al quale mira il giudizio sul silenzio, ossia l'intervento di un atto esplicito favorevole o di reiezione.

Cons. St., Sez. 5, 9 settembre 2013, n. 04473
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