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Buoni pasto: ripetizione dell'indebito.

Pubblico impiego

Sull'esclusione della ripetizione del maggior valore indebitamente attribuito ai buoni pasto, erogati in favore dei dipendenti.
Cons. St., Sez. 4, Sentenza 5 aprile 2018, n. 02115

Premassima

1. In tema di pubblico impiego, in specie privatizzato, l' Amministrazione interessata non può recuperare il maggior valore indebitamente attribuito ai buoni pasto erogati ai propri dipendenti.

Principio

1. In tema di pubblico impiego, in specie privatizzato, l' Amministrazione interessata non può recuperare il maggior valore indebitamente attribuito ai buoni pasto erogati ai propri dipendenti.

Il Supremo Consesso ha osservato che in tema di pubblico impiego, in specie privatizzato, l' Amministrazione interessata non può recuperare il maggior valore indebitamente attribuito ai buoni pasto erogati ai propri dipendenti, trattandosi di benefici destinati a soddisfare esigenze di vita primaria e fondamentali dei dipendenti medesimi, di valore costituzionale, a fronte dei quali non è configurabile una pretesa restitutoria, per equivalente monetario. Sul punto, in particolare ha evidenziato il Collegio che, per costante giurisprudenza, l 'azione di ripetizione di indebito ha come suo fondamento l'inesistenza dell'obbligazione adempiuta da una parte, o perché il vincolo obbligatorio non è mai sorto o perché è venuto meno successivamente, ad esempio a seguito di annullamento. Inoltre ha rilevato non solo che il recupero delle somme erogate e non dovute costituisce il risultato di attività amministrativa di verifica e di controllo, priva di valenza provvedimentale; ma latresì come in tali ipotesi l'interesse pubblico è in re ipsa e non richiede specifica motivazione in quanto, a prescindere dal tempo trascorso, l'oggetto del recupero produce di per sé un danno all'Amministrazione, consistente nell'esborso di denaro pubblico senza titolo ed un vantaggio ingiustificato per il dipendente. Peraltro è previsto che il solo temperamento ammesso è costituito dalla regola per cui le modalità di recupero non devono essere eccessivamente onerose, in relazione alle condizioni di vita del debitore. Sicchè l'affidamento del pubblico dipendente e la stessa buona fede non rappresentano ostacolo all'esercizio del potere-dovere di recupero, nel senso che l'Amministrazione non è tenuta a fornire un'ulteriore motivazione sull'elemento soggettivo riconducibile all'interessato. Alla luce di quanto ut supra analizzato, il Consiglio di Stato, richiamando i principi formulati dalla Suprema Corte di legittimità, secondo cui l'attribuzione dei buoni pasto rappresenta un’agevolazione di carattere assistenziale, ha ulteriormente chiarito che i buoni pasto sono titoli non monetizzabili destinati esclusivamente a esigenze alimentari in sostituzione del servizio mensa e, per tale causale, pacificamente spesi nel periodo di riferimento.

Cons. St., Sez. 4, 5 aprile 2018, n. 02115
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