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Autorità Portuali

Porti Unione Europea Enti pubblici

Nomina a Presidente dell'Autorità Portuale di una persona fisica di cittadinanza non italiana. Rinvio alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea della risoluzione di questioni pregiudiziali.
Cons. St., Sez. 4, Ordinanza Collegiale 8 maggio 2013, ord. n. 02492

Principio

1. Nomina a Presidente dell'Autorità Portuale di una persona fisica di cittadinanza non italiana.
La configurazione della natura giuridica dell’Autorità Portuale assume rilievo nella misura in cui alla sua presidenza è nominata una persona fisica di cittadinanza non italiana, posto che, nell’ipotesi in cui all’Autorità Portuale dovesse riconoscersi natura di ente pubblico economico, che agisce in regime di diritto privato, non potrebbero ragionevolmente porsi ostacoli di sorta al riguardo, stante l’inesistenza nell’ordinamento italiano di disposizioni a ciò contrarie; per contro, se all’Autorità medesima dovesse riconoscersi natura di ente pubblico che istituzionalmente opera in regime di diritto pubblico e che, pertanto, si connota pleno iure quale “pubblica amministrazione”, la soluzione risulterebbe diversa.

2. Natura delle Autorità Portuali istituite ex legge n. 84/1994.
2.1. L’Autorità portuale è una particolare tipologia di Ente pubblico introdotto nell’ordinamento italiano con la L. 28 gennaio 1994 n. 84. In base al comma 2 dell'art. 6 l. n. 84/1994 "l’Autorità Portuale ha personalità giuridica di diritto pubblico ed è dotata di autonomia amministrativa". 
2.2. Ai sensi del comma 3 dell'art. 3 l. n. 84/1994, la gestione patrimoniale e finanziaria dell’Autorità Portuale è disciplinata da un regolamento di contabilità approvato dal Ministro dei trasporti e della navigazione, di concerto con il Ministro del tesoro; che il conto consuntivo delle autorità portuali è allegato allo stato di previsione del Ministero dei trasporti e della navigazione per l’esercizio successivo a quello nel quale il medesimo è approvato; che, a’ sensi del susseguente comma 4, così come attualmente formulato, il rendiconto della gestione finanziaria dell’autorità portuale è soggetto al controllo della Corte dei Conti e che, a’ sensi del comma 6, sempre come ad oggi formulato, l’esercizio delle attività di cui alle predette lettere b) e c) è affidato in concessione dall’Autorità Portuale mediante gara pubblica.
2.3. Ai sensi comma 6 dell'art. 6 l. n. 84/1994 “le Autorità Portuali non possono esercitare, né direttamente né tramite la partecipazione di società, operazioni portuali ed attività ad esse strettamente connesse. Le Autorità Portuali possono costituire ovvero partecipare a società esercenti attività accessorie o strumentali rispetto ai compiti istituzionali affidati alle autorità medesime, anche ai fini della promozione e dello sviluppo dell’intermodalità, della logistica e delle reti trasportistiche”.
2.4. Nel contesto ordinamentale italiano si è più volte posto, sin dal momento dell’istituzione delle Autorità Portuali, il problema della loro connotazione giuridica. In particolare, nella giurisprudenza si rinvengono non univoche affermazioni circa la loro natura di “enti pubblici”, ovvero di “enti pubblici economici”.

3. (segue): gli enti pubblici non economici.
Nell’ordinamento italiano l’ “ente pubblico” (ovvero “ente pubblico non economico”) è una persona giuridica istituita secondo norme di diritto pubblico, attraverso la quale la pubblica amministrazione svolge una funzione amministrativa parimenti retta - in quanto tale - da norme di diritto pubblico. Gli enti pubblici (non economici) si contrappongono, pertanto, alle persone giuridiche istituite secondo norme di diritto privato e il cui operato è quindi assoggettato alla disciplina privatistica.

4. (segue): gli enti pubblici economici.
4.1. Una categoria intermedia tra ente pubblico e le persone giuridiche di diritto privato è costituita dall’ “ente pubblico economico”, parimenti dotato di propria personalità giuridica, proprio patrimonio e proprio personale dipendente, il quale ultimo, peraltro, ancor prima del complesso procedimento di “privatizzazione” - o, più esattamente, di “contrattualizzazione” - del pubblico impiego avviato per effetto del D.L.vo 3 gennaio 1993 n. 29 e successive modifiche, era comunque sottoposto alla disciplina del rapporto d’impiego di diritto privato (cfr. sul punto l’art. 2093 cod. civ.). L’Ente pubblico economico svolge vera e propria attività di impresa, agisce pertanto per fini di lucro, persegue finalità esclusivamente economiche e –perciò – opera con criteri di economicità ed è assoggettato alle procedure concorsuali speciali in caso di suo dissesto finanziario.
4.2. La caratteristica fondamentale dell’Ente pubblico economico è, comunque, quella della sua flessibilità organizzativa e gestionale, proprio in quanto sottratto alla disciplina di diritto pubblico, rimanendo peraltro il legame con la Pubblica Amministrazione assicurato dalla circostanza che i suoi organi di vertice sono nominati in tutto o in parte dai Ministeri competenti per il settore in cui opera l’Ente, nonché dal potere di indirizzo generale e di vigilanza esercitato sempre dalla pubblica autorità, fermo restando che - per tutto quanto dianzi esposto - l’operato dell’Ente pubblico economico è per il resto retto - salva restando la sussistenza di leggi speciali di settore - dalle norme di diritto privato. Va denotato che, ad oggi, la categoria degli Enti pubblici economici risulta progressivamente in via di riduzione per effetto della loro trasformazione in società per azioni, in tutto o in parte aperte alla partecipazione di soggetti privati, ovvero con totale partecipazione pubblica.

5. (segue): indirizzo giurisprudenziale secondo cui le Autorità Portuali sono enti pubblici economici.
5.1. Per parte della giurisprudenza le Autorità Portuali quali enti pubblici economici. La Sez. II del Consiglio di Stato con parere n. 2361 dd. 25 luglio 2008, ha già avuto modo di evidenziare che le Autorità Portuali, in virtù della loro disciplina dettata dalla L. 28 gennaio 1994 n. 84 e successive modificazioni e integrazioni, non possono essere annoverate tra le pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del D.L.vo 30 marzo 2001 n. 165, in quanto devono semmai considerarsi più accostabili alla figura dell’Ente pubblico economico. Se da una parte non è possibile ricondurre le Autorità Portuali alla figura tradizionale dell'imprenditore pubblico, cioè a quella di una struttura avente caratteristiche tali da consentirne, in via di immediata ed agevole interpretazione, la definizione in termini di impresa riconducibile alla nozione classica dell’ente pubblico economico, neppure può affermarsi che le Autorità portuali siano pubbliche amministrazioni in senso propriamente soggettivo ed oggettivo, in quanto dotate esclusivamente di poteri pubblicistici di regolazione o erogazione di servizi ed attività “amministrative”, per soddisfare interessi di natura generale di carattere non industriale né commerciale, secondo la terminologia comunitaria riferita agli organismi di diritto pubblico; in sostanza, però, si tratta di soggetti che perseguono certamente anche il soddisfacimento di “bisogni di natura industriale e commerciale”, quali, ad esempio: indirizzo, programmazione, coordinamento, promozione e controllo delle operazioni portuali e delle altre attività commerciali ed industriali esercitate nei porti, manutenzione ordinaria e straordinaria delle parti comuni nell’ambito portuale, affidamento e controllo delle attività dirette alla fornitura a titolo oneroso agli utenti portuali di servizi di interesse generale, non coincidenti né strettamente connessi alle operazioni portuali. Secondo la Sezione consultiva del Consiglio di Stato le Autorità Portuali sarebbero pertanto enti che, seppure non in possesso dei requisiti formali classici dell’Ente pubblico economico (agire per fini di lucro, perseguire finalità esclusivamente economiche, cioè operare con criteri di economicità, essere sottoposti alle procedure concorsuali speciali, ecc.) avrebbero una forte connotazione economica, che, in molte parti, non si discosterebbero da quella propria degli enti pubblici economici.
5.2. Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr. sentenze n. 12232 dd. 3 luglio 2004 e n. 13729 dd. 14 ottobre 2000, n. 10729 dd. 28 ottobre 1998) le Autorità Portuali rientrano nella categoria degli enti pubblici economici, soprattutto in considerazione della natura privatistica del rapporto di lavoro del personale da loro dipendente, “tenuto conto” – altresì, ma senza particolari approfondimenti – “dei compiti loro assegnati: v., al riguardo, il suddetto art. 1, primo comma, lett. a, b, ), con la conseguenza che siffatta qualifica incide …sull’assetto economico e organizzativo”.
5.3. Ulteriore argomento circa la configurabilità delle Autorità portuali in termini di enti pubblici economici viene ricavata dall’art. 1, comma 993, della L. n. 296 del 2006, nel quale si definisce espressamente l’Autorità Portuale come ente pubblico economico al fine dell’assoggettamento degli atti di concessione demaniale da essa emessi alla sola imposta proporzionale di registro, nonché al fine dell’esclusione dei relativi canoni dall’imposta sul valore aggiunto.

6. (segue): qualificazione delle Autorità Portuali in termini di organismo di diritto pubblico.
6.1. Ai sensi dell’art. 3, comma 26, del D.L.vo 12 aprile 2006 n. 163 (Codice dei contratti pubblici) e del suo Allegato III – ossia di fonti normative di diritto interno derivate dalla direttiva 2004/18/CE –, gli “Enti portuali” sono espressamente ricondotti dall’ordinamento italiano alla tipologia comunitaria dell’ “organismo di diritto pubblico”, in quanto istituito “per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale, dotato di personalità giuridica” e “la cui attività … (è) finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione … (è) soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico”.
6.2. “Ente portuale” è nozione all’evidenza generica, di per sé in concreto non disciplinata dall’ordinamento italiano: ma è innegabile che, proprio in quanto l’amministrazione dei porti è esclusivamente devoluta, nel “sistema” della L. 84 del 1994, alle Autorità Portuali, la nozione medesima non può che identificare – allo stato – proprio ed esclusivamente queste ultime.

7. (segue): critica alla configurazione dell'Autorità Portuale in termini di ente pubblico non economico.
7.1. Non appare convincente l'indirizzo della giurisprudenza di legittimità che afferma la natura di enti pubblici economici delle Autorità Portuali, con preminente (se non con esclusivo) riferimento alla disciplina privatistica del rapporto di lavoro del personale da loro dipendente, ossia avuto riguardo ad un profilo non certo marginale, ma – di per sé – non risolutivo, stante – se non altro – la “contrattualizzazione” o “privatizzazione” che dir si voglia che è stata progressivamente introdotta anche nel rapporto di pubblico impiego presso gli enti pubblici non economici per effetto del D.L.vo 3 febbraio 1993 n. 29 e successive modifiche.
7.2. Non appare risolutivo il dato letterale dell’art. 1, comma 993, della L. 296 del 2006, avuto riguardo alla rilevanza eminentemente e prettamente fiscale della disciplina ivi contenuta.
7.3. Al fine di risolvere la questione sulla natura giuridica delle Autorità Portuali occorre tener presente oltre che dei compiti delle Autorità stesse ed elencati all'art. 6, comma 1°, l. n. 84/1994, dei compiti affidati al suo Presidente, ai sensi dell’art. 8, comma 3, della stessa l. n. 84/1994. È innegabile che l’insieme di tali competenze assume natura pubblicistica, prime tra tutte l’assicurazione della navigabilità e la predisposizione per piano regolatore portuale, nonché la predisposizione del piano operativo triennale, con la sottoposizione degli stessi al Comitato Portuale. Anche il rilascio di concessioni demaniali marittime e di autorizzazioni all’esercizio di attività nell’ambito portuale parimenti si configura quale attività eminentemente pubblicistica.
7.4. L'art. 6, comma 6, l. n. 84/1994, laddove dispone che le Autorità Portuali “non possono esercitare, né direttamente né tramite la partecipazione di società, operazioni portuali ed attività ad esse strettamente connesse”, potendo – al più – esse “costituire ovvero partecipare a società esercenti attività accessorie o strumentali rispetto ai compiti istituzionali affidati alle autorità medesime, anche ai fini della promozione e dello sviluppo dell’intermodalità, della logistica e delle reti trasportistiche”, realizza un “sistema” di separazione fra la promozione (pubblicistica) del mercato e l’(eventuale) partecipazione allo stesso in regime di parità tra tutti gli operatori.
7.5. L’Autorità Portuale e il suo Presidente esercitano un consistente novero di funzioni pubblicistiche: circostanza – questa - che ove pur non si volesse considerare al fine di sostanzialmente configurare l’Autorità medesima quale ente pubblico non economico, non può essere obliterata al fine di ricondurre comunque l’Autorità Portuale in un particolare contesto organizzatorio di ente pubblico economico al quale l’ordinamento assegna, peraltro, anche non indifferenti funzioni disciplinate da norme di diritto pubblico.
7.6. Non assumono rilievo decisivo gli anzidetti enunciati contenuti nell’art. 6, comma 2, della L. 84 del 1994 e in forza dei quali alle Autorità Portuali “non si applicano le disposizioni di cui alla L. 20 marzo 1975 n. 70 e successive modificazioni”, ossia la disciplina di carattere generale dettata per gli enti pubblici non economici statali, “nonché le disposizioni di cui al D.L.vo 3 febbraio 1993 n. 29 e successive modificazioni ed integrazioni”, ora sostituite da quelle contenute nel T.U. 30 marzo 2001 n. 165 e successive modificazioni e che disciplinano il rapporto di lavoro presso tutte le pubbliche amministrazioni. La pur disposta sottrazione dell’Autorità Portuale all’applicazione di tali discipline, tradizionalmente costitutive nell’ordinamento italiano di indici circa la riconduzione di un ente al novero degli enti pubblici non economici, risulta, infatti, del tutto irrilevante, ove si consideri l’insieme delle anzidette disposizioni contenute nello stesso art. 6, nonché nell’attuale testo dell’art. 8 della L. 84 del 1994, che - viceversa, ed in via del tutto inequivocabile – configurano l’esercizio, da parte dell’Autorità Portuale e del suo Presidente, di pubbliche funzioni con il conseguente utilizzo di poteri autoritativi nel contesto di azioni amministrative, non rette quindi da norme di diritto privato. Né va sottaciuto che a tale contesto contraddistinto dal cumulo, entro l’assetto ordinamentale dell’Autorità Portuale, di poteri pubblicistici e di elementi indicatori propri dell’ente pubblico economico si assomma anche la circostanza che nell’ambito dei poteri pubblicistici anzidetti il legislatore non ha introdotto norme contemplanti la separazione tra atti di indirizzo politico e di alta amministrazione da un lato (opportunamente riservabili al Presidente dell’Autorità medesima e al Comitato Portuale) e atti gestionali dall’altro (viceversa devolvibili al Segretario Generale e ai dirigenti), per contro progressivamente attuata quale principio generale dell’ordinamento pubblicistico italiano per effetto del D.L.vo 29 del 1993 e delle susseguenti modifiche ad esso apportate.

8. Sulla riserva a favore dei soli cittadini l’accesso ai pubblici uffici e alle cariche elettive.
8.1. Ai sensi dell’art. 51 della Costituzione, si dispone – per quanto qui segnatamente interessa - che “tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge”, e che “la legge può, per l’ammissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive, parificare ai cittadini gli italiani non appartenenti alla Repubblica”. La previsione di un circoscritto potere attribuito al legislatore ordinario di parificare ai cittadini “gli italiani non appartenenti alla Repubblica” (nozione, questa, nondimeno espansiva in quanto essa non si estende ai soli italiani, anche non più cittadini italiani, rimasti nei territori ceduti dall’Italia con il Trattato di Pace di Parigi del 1947, ma può riguardare anche gli emigrati italiani e i loro discendenti, anche se parimenti non più cittadini italiani, stabiliti ad oggi in consistente numero nelle Americhe e in Australia) esplicita che il legislatore costituente ha di fatto riservato ai soli cittadini l’accesso ai pubblici uffici e alle cariche elettive.
8.2. L’art. 51 Cost. va letto in stretta correlazione con l’art. 11 Cost., seconda parte, laddove si afferma che l’Italia “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Come è ben noto, proprio la norma sottesa a tale disposizione del legislatore costituente consente l’introduzione nel nostro ordinamento delle fonti di diritto comunitario, ivi incluse quelle che impongono la libera circolazione dei lavoratori e dei prestatori di servizi.
8.3. Per quanto in particolare concerne l’esercizio di pubblici uffici conseguenti all’assunzione di un rapporto di pubblico impiego, l’ordinamento italiano ha previsto, dapprima con l’art. 37 del D.L.vo 29 del 1993 e – ora - con l’art. 38 del T.U. approvato con D.L.vo 165 del 2001 (quest’ultimo integralmente riproduttivo, sul punto, della corrispondente disciplina di precedente emanazione), che “i cittadini degli Stati membri della Comunità economica europea possono accedere ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche che non implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri, ovvero non attengono alla tutela dell'interesse nazionale” (comma 1), e che “con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, ai sensi dell'art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono individuati i posti e le funzioni per i quali non può prescindersi dal possesso della cittadinanza italiana, nonché i requisiti indispensabili all'accesso dei cittadini di cui al comma 1”. 
8.4. La disciplina sull'accesso ai posti di lavoro dei cittadini dell'Unione Europea è stata emanata con D.P.C.M. 7 febbraio 1994 n. 174, nelle cui premesse sono stati richiamati - tra l’altro - il trattato sull’Unione europea, firmato a Maastricht il 17 febbraio 1992, ratificato e reso esecutivo con L. 3 novembre 1992 n. 454, la parte prima, titolo II, del regolamento n. 1612/68 del Consiglio delle Comunità europee del 15 ottobre 1968, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità, nonché la comunicazione della Commissione delle Comunità europee n. 88/C72/02 del 18 marzo 1988. Nel D.P.C.M. testé riferito sono stati quindi individuati i posti delle amministrazioni pubbliche per l’accesso ai quali non può prescindersi dal possesso della cittadinanza italiana (cfr. ivi l’art. 1), nonché le tipologie di funzioni delle amministrazioni pubbliche per il cui esercizio si richiede il requisito della cittadinanza italiana (cfr. ivi l’art. 2), menzionando tra queste, specificatamente, le “funzioni che comportano l’elaborazione, la decisione, l’esecuzione di provvedimenti autorizzativi e coercitivi”, nonché le “funzioni di controllo di legittimità e di merito”. L’art. 3 del D.P.C.M. medesimo dispone – altresì – i requisiti che i cittadini degli Stati membri dell’Unione Europea devono possedere, ai fini dell’accesso ai posti della pubblica amministrazione.
8.5. Nell’ordinamento italiano è stata introdotta, relativamente all’esercizio in Italia di pubblici uffici da parte di cittadini di altri Stati membri dell’Unione Europea, una disciplina puntuale soltanto per quanto concerne i pubblici uffici svolti nell’ambito dei rapporti di pubblico impiego. Per quanto attiene invece ai pubblici uffici esercitati non già mediante la costituzione di tale tipologia di rapporto di lavoro, ma mediante l’assunzione di cariche pubbliche (non potendo per certo la nomina del Presidente dell’Autorità configurarsi quale costituzione di un rapporto di pubblico impiego, ma quale assunzione di un incarico fiduciario affidato da un’autorità governativa, temporalmente limitato e connesso all’esercizio di pubbliche funzioni) l’ordinamento contempla –allo stato - la sola circoscritta deroga precettivamente imposta dall’art. 40 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, laddove sancisce che “ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali nello Stato membro in cui risiede, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato”, in forza del quale, nonché della direttiva 94/80/CE, è già stato in precedenza emanato il D.Lvo 12 marzo 1996 n. 197, recante le modalità d’esercizio del diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali e circoscrizionali per i cittadini membri dell’Unione Europea che risiedono in uno Stato membro di cui non hanno la cittadinanza.
8.6. Nell’ordinamento italiano vige ad oggi, per effetto dell’art. 51 Cost., una “clausola generale”, derogabile dal legislatore ordinario, in forza della quale deve reputarsi implicitamente richiesto dal “sistema” il possesso del requisito della cittadinanza italiana per l’assunzione di qualsivoglia carica pubblica costituente “pubblico ufficio”, ivi dunque compresa quella di Presidente dell’Autorità Portuale di cui all’art. 8 della L. 84 del 1994 e successive modifiche.

9. (segue): sui requisiti soggettivi del Presidente dell'Autorità Portuale.
9.1. Nel caso dell’Autorità Portuale l’art. 8 della l. n. 84/1994 dispone nel senso che il Presidente dell’Autorità medesima deve essere persona di “massima e comprovata qualificazione professionale nei settori dell’economia dei trasporti e portuale”: ma la circostanza che a tali ben lati requisiti lo stesso legislatore non abbia espressamente aggiunto una previsione esplicita circa la necessità, o meno, che il Presidente medesimo sia cittadino italiano deve intendersi non già come implicita deroga all’anzidetta “clausola generale” dell’ordinamento italiano che – come detto innanzi - per l’esercizio dei pubblici uffici da parte di soggetti investiti di cariche pubbliche contempla il requisito del possesso della cittadinanza italiana, bensì come mancato esercizio del potere di deroga medesimo.
9.2. Al Presidente dell’Autorità Portuale non a caso si chiedono competenze professionali economiche orientate nei settori della portualità, ovvero dei trasporti in genere, posto che l’esercizio dei propri poteri autoritativi nel contesto dell’Ente da lui presieduto consegue ad una sua attività non meramente burocratica, ma deputata ad incrementare la competitività del porto: il che pertanto implica il possesso di doti manageriali, con significativa capacità di dialogo e di confronto tra le diverse categorie degli operatori presenti nello scalo, e – soprattutto – capacità di elaborare previsioni economiche, nuove strategie tariffarie e logistiche, alleanze con altri scali, acquisizione di nuovi operatori, pronto adeguamento alle necessità degli operatori medesimi, ecc.
9.3. È innegabile che, nell’attuale contesto sempre più globalizzato e di forte concorrenzialità nei traffici marittimi e dei trasporti in genere, tali necessità potrebbero essere in soddisfatte, in coerenza con lo stesso pubblico interesse all’incremento del traffico del porto, anche con il concorso di professionalità straniere - e in particolare se di cittadini di altri Stati membri dell’Unione Europea - di comprovata esperienza negli anzidetti settori della portualità e dei trasporti.
9.4. Da qui la necessità di verificare se la permanenza, nel contesto dell’art. 8 della L. 84 del 1994, del divieto di assunzione della carica di Presidente dell’Autorità Portuale per coloro che non sono cittadini italiani, ma cittadini di altro Stato membro dell’Unione Europea – imposto, per tutto quanto dianzi illustrato, dall’attuale “diritto vivente” interno – sia, o meno, conforme alla superiore disciplina di fonte comunitaria.

10. Sulle questioni pregiudiziali proposte alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ai sensi dell’art. 267 TFUE.
Va proposta alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la risoluzione delle seguenti questioni pregiudiziali:
1) Apparendo inconferente al caso di specie l’esclusione disposta dall’art. 45 TFUE § 4, in quanto riguardante – come detto innanzi - le ipotesi di lavoro subordinato con le pubbliche amministrazioni (nel caso in esame, per l’appunto, non sussistente) e – nondimeno- essendo comunque l’incarico fiduciario di Presidente dell’Autorità Portuale riguardabile quale “attività di lavoro” in senso lato, va chiarito se la clausola di riserva per l’espletamento dell’incarico medesimo a favore dei soli cittadini italiani sostanzi – o meno – una discriminazione sulla nazionalità vietata dall’art. 45 medesimo.
2) Va - altresì - chiarito se l’incarico assolto quale Presidente di un’Autorità Portuale italiana da parte del cittadino di altro Stato membro dell’Unione Europeo possa – altrimenti - configurarsi come rientrante nel diritto di stabilimento di cui all’art. 49 e ss. TFUE e se, in questo caso, il divieto di diritto interno all’assolvimento dell’incarico medesimo da parte del non cittadino italiano sostanzi - o meno - una discriminazione fondata sulla nazionalità, ovvero se tale circostanza possa reputarsi esclusa dall’anzidetto art. 51 TFUE.
3) Va pure chiarito se l’incarico assolto quale Presidente di un’Autorità Portuale italiana da parte del cittadino di altro Stato membro dell’Unione Europeo possa – in via di subordine- configurarsi quale prestazione di “servizio”, a’ sensi della direttiva 2006/123/CE, se l’esclusione dall’applicazione della direttiva medesima ai servizi portuali rilevi o meno anche ai fini che qui interessano e – ove ciò non fosse – se il divieto di diritto interno all’assolvimento dell’incarico medesimo sostanzi – o meno – una discriminazione fondata sulla nazionalità.
4) Va da ultimo - e in via di estremo subordine - chiarito se l’incarico assolto quale Presidente di un’Autorità Portuale italiana da parte del cittadino di altro Stato membro dell’Unione Europea, ove reputato non inquadrabile nelle suesposte previsioni, possa – comunque – essere riguardato in via più generale, a’ sensi dell’art. 15 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, quale prerogativa rientrante nel diritto del cittadino comunitario “di lavorare, di stabilirsi o di prestare servizi in qualunque Stato membro”, anche a prescindere dalle specifiche disposizioni “di settore” contenute negli artt. 45 e 49 e ss. TFUE, nonché nella direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno, e se, pertanto, il divieto di diritto interno all’assolvimento dell’incarico medesimo contrasti – o meno – con l’altrettanto generale divieto di discriminazione in base alla cittadinanza contemplato dall’art. 21, comma 2, della predetta Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Cons. St., Sez. 4, 8 maggio 2013, ord. n. 02492
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