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Atti amministrativi generali

Attività produttive, commerciali e industriali Atto amministrativo e silenzio della P.A.

Sul potere della PA di emanare atti amministrativi generali senza osservare l'obbligo di avviso dell'avvio del procedimento. Sul principio di proporzionalità e adeguatezza nell’esercizio del potere amministrativo (il caso di vendita di prodotti alimentari da asporto)
T.A.R. Lombardia Brescia, Sez. 1, Sentenza 9 dicembre 2013, n. 01102

Principio

1. Sul potere della PA di emanare atti amministrativi generali senza osservare l'obbligo di avviso dell'avvio del procedimento.
1.1. Un atto amministrativo generale per essere validamente emanato non necessita del preavviso di cui all’art. 7 l. 241/1990, come sancisce l’art. 13 comma 1 della stessa legge.
1.2. L’atto generale, per ragioni logiche prima che giuridiche non perde il suo carattere, per cui esso si rivolge a destinatari non determinati e non determinabili a priori, per il fatto che alcuni di essi, o anche tutti costoro, siano in concreto individuabili; esso infatti non per questo cessa di applicarsi comunque a tutti i soggetti che si trovino in una data situazione: il principio è stato affermato anche ai massimi livelli da Tribunale UE 10 aprile 2008 T-233/04 Commissione c. Regno di Olanda.

2. Sul principio di proporzionalità e adeguatezza nell’esercizio del potere amministrativo limitativo della libertà di intrapresa ex art. 41 Cost. (il caso di vendita di prodotti alimentari da asporto).
2.1. In base alle fonti normative in tema di commercio (nella specie art. 9, comma 14, L.R. Lombardia n. 30/2003, ora riprodotta all’art. 69, comma 14, L.R. Lombardia n. 6/ 2010) gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande hanno un diritto, non subordinato dalla norma a limiti o prescrizioni, di vendere, se credano, per asporto i loro prodotti; diritto che pertanto potrà limitarsi, se del caso, in base a norme generali, in sé non escluse dall’art. 41 Cost.
2.2. Il principio di proporzionalità e adeguatezza nell’esercizio del potere amministrativo discende dall’ordinamento europeo, e implica, secondo l’enunciazione paradigmatica contenuta nella sentenza Corte UE 22 febbraio 2002 C 390/99 Canal Satelite, che l’intervento pubblico debba essere in grado di assicurare il raggiungimento del risultato avuto di mira e non andar oltre quanto necessario a raggiungerlo (cfr. Cons. St., Sez. V, 14 aprile 2006, n. 2087; TAR Lazio Roma, 12 luglio 2006, n. 10485, laddove afferma che il principio di proporzionalità e adeguatezza «obbliga la pubblica amministrazione ad adottare la soluzione idonea ed adeguata, comportante il minor sacrificio possibile per gli interessi compresenti»; in generale, in tema di misure limitative in senso ampio, v.Cons. St., Sez. V, 11 dicembre 2007, n. 6383, laddove considera le restrizioni al traffico automobilistico legittime solo ove non eccessivamente gravose; TAR Puglia Lecce, 6 luglio 2006, n. 3841 sui vincoli per servitù militari, i quali sono ammessi solo ove si dimostri la necessità nell’interesse della difesa nazionale della specifica limitazione adottata).
2.3. In termini generali debbono ritenersi compatibili con la legge, e con le fonti di rango superiore, e cioè con la Costituzione e con il Trattato UE, misure limitative della libertà di impresa in concreto adeguate (si fa il classico esempio dell’ordinanza regolarmente riadottata ad ogni stagione estiva, che impone ai cocomerai di adottare le misure necessarie perché il loro prodotto non sia contaminato dalle mosche, a protezione della salute dei consumatori).
2.4. È illegittimo per violazione del principio di adeguatezza e di proporzionalità l'atto amministrativo generale che disciplini le modalità di confezionamento per la vendita degli alimenti da asporto (con eccezione di gelati e granite) e ne vieti la consumazione nelle aree pubbliche del centro storico, prescrivendo l'obbligo per il venditore di consegnarli al cliente prescrivendo modalità di confezionamento particolare. A fronte dell’interesse imprenditoriale alla sopravvivenza della propria impresa, anche in termini di redditività positiva, che ha tutela costituzionale ed europea, è posto infatti un interesse non ben definito, che per solito si identifica col decoro urbano, ed è oltretutto difficile identificare con quello della maggioranza dei consociati. Tale interesse attiene praticamente soltanto a profili estetici, ed è diverso da quello volto ad evitare l’imbrattamento dei luoghi, già presidiato da norme speciali. 
2.5. In termini di decoro urbano, la semplice vista di persone le quali consumino in luogo pubblico alimenti -oltretutto può ben essere intesa, secondo un giudizio in sé del tutto rispettabile, come turbativa del gusto estetico, anche dato per scontato che non si traduca in abbandono dei rifiuti relativi, ma non pare che tale giudizio sia universalmente condiviso, in modo da giustificare un intervento regolamentare radicalmente proibitivo, rivolto sia ai consumatori, col divieto di consumo, sia ai legittimi rivenditori con l’imposizione di modalità speciali di vendita non richieste dall’igiene.

T.A.R. Lombardia Brescia, Sez. 1, 9 dicembre 2013, n. 01102
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