Accedi a LexEureka

Acquisizione sanante

Espropriazione per pubblica utilità Atto amministrativo e silenzio della P.A. Giustizia amministrativa

Necessarietà dell'avviso ex art. 7 legge n. 241/1990 nel caso di procedimento finalizzato alla proroga dei termini del provvedimento recante la dichiarazione di pubblica utilità. Illegittimità di atto di proroga dei termini del provvedimento recante la dichiarazione di pubblica utilità, quando i termini siano già scaduti. Nullità ex art. 21-septies legge n. 241/1990 dell'atto di proroga dei termini di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità adottato fuori termine. Inidoneità della realizzazione di opera pubblica su fondo privato a assurgere a titolo di acquisto del bene. In particolare, il caso di occupazione di un’area privata irreversibilmente trasformata in sede stradale. La PA, che abbia illecitamente trasformato beni privati per realizzare un'opera pubblica, va condannata non al risarcimento del danno, ma all'obbligo generico di provvedere ex art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001
T.A.R. Lazio Roma, Sez. 1T, Sentenza 10 dicembre 2013, n. 10615

Principio

1. Necessarietà dell'avviso ex art. 7 legge n. 241/1990 nel caso di procedimento finalizzato alla proroga dei termini del provvedimento recante la dichiarazione di pubblica utilità.
L'atto, con cui l'autorità espropriante proroga i termini di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità, deve ritenersi illegittimo laddove risulti omessa la comunicazione di avvio del relativo procedimento agli interessati, necessaria anche nel procedimento finalizzato a prorogare i termini del provvedimento di dichiarazione di pubblica utilità, stante la sua natura di sub - procedimento autonomo all'interno di quello più generale volto alla dichiarazione di pubblica utilità, anche se implicito, nell'approvazione del progetto di opera pubblica (TAR Campania Napoli, sez. V, 04.05.2010 n.2509; Consiglio di Stato sez. VI, n.6183/2007 e n.5443/2002; T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 13 ottobre 2006 , n. 10374; T.A.R. Lazio Roma, sez. II, n. 6377/2008; Consiglio di Stato, sez. IV, n. 8688/2010).

2. Illegittimità di atto di proroga dei termini del provvedimento recante la dichiarazione di pubblica utilità, quando i termini siano già scaduti.
È illegittimo l'atto, con cui l'autorità espropriante proroga i termini di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità, quando lo stesso sia stato adottato dopo la scadenza del termine, considerando che il prolungamento dell'efficacia di un termine presuppone necessariamente che il termine da prorogare non sia ancora scaduto (cfr. TAR Lazio Roma, sez. II, n.6377/2008; TAR. Campania Salerno sez. II, 13.09.2011 n.1539; TAR Campania Napoli, sez. V, 4 maggio 2010, n. 2509, Consiglio Stato, sez. IV, 22 dicembre 2003, n. 8462; Consiglio Stato, sez. IV, 22 maggio 2006, n. 3025; Consiglio Stato, sez. IV, 22 maggio 2006, n. 3025; T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 10 maggio 2005 , n.3484; T.A.R., Sardegna, sez. II, 13 luglio 2007 n. 1618; T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 13 ottobre 2006, n. 10374; T.A.R. Toscana Firenze, sez. III, 05 marzo 2003 , n. 857).

3. Nullità ex art. 21-septies legge n. 241/1990 dell'atto di proroga dei termini di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità adottato fuori termine.
3.1. Quando l'atto, con cui l'autorità espropriante proroga i termini di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità, sia intervenuto fuori termine, deve ritenersi adottato in carenza di potere: è pertanto affetto da nullità ex art. 21 septies della L. 241/90, con la conseguenza che non possono neppure porsi questioni relative alla tempestività della sua impugnazione, in quanto tale invalidità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse e può essere rilevata di ufficio dal giudice (TAR Campania Salerno, sez. II, 13.9.2011 n.1539; TAR Veneto Venezia, sez. I, 12.2.2009 n. 347).
3.2. Dalla nullità dell'atto di proroga dei termini di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità consegue che l’autorità procedente decade dal proprio potere ablatorio e, quindi, la procedura espropriativa va considerata invalida, con conseguente inefficacia degli atti anteriori a quelli da dichiarare nulli (ed, in particolare, della dichiarazione di pubblica utilità: cfr. (Cons. Stato, sez. IV, n.1603/2013; Cons. Stato, Ad. Plen., 30 luglio 2007, n. 9).

4. Inidoneità della realizzazione di opera pubblica su fondo privato a assurgere a titolo di acquisto del bene. In particolare, il caso di occupazione di un’area privata irreversibilmente trasformata in sede stradale.
4.1. La realizzazione dell'opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato è in sé un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo di acquisto del bene e, come tale, non idoneo a determinare il trasferimento della proprietà, per cui solo il formale atto di acquisizione dell'amministrazione può essere in grado di limitare il diritto alla restituzione, non potendo rinvenirsi atti estintivi o abdicativi della proprietà, in altri comportamenti, fatti o contegni (Cfr. Consiglio di Stato sez. IV, 29 agosto 2011, n. 4833, sez. IV 28/01/2011 n. 676).
4.2. Nel caso di occupazione di un’area irreversibilmente trasformata in sede stradale, il bene privato non può ritenersi acquisito al demanio stradale ai sensi dell’art. 822 c. 2 c.c. al momento della destinazione alla viabilità pubblica, non potendosi ritenere che la natura di bene demaniale sia legata alla concreta ed effettiva destinazione alla utilizzazione pubblica, rispetto alla quale ogni atto formale assumerebbe soltanto carattere dichiarativo. Tale prospettazione, oltre a configurare una surrettizia reintroduzione della fattispecie dell’occupazione acquisitiva ormai definitivamente espunta dal nostro ordinamento giuridico, non tiene conto che il demanio stradale è diverso da quello necessario in cui è la natura stessa del bene che comporta la sua qualificazione come demaniale.
4.3. Nel caso di occupazione di un’area irreversibilmente trasformata in sede stradale, la strada può essere di proprietà pubblica (rientrando in quel caso nell’ambito del demanio accidentale), ma può essere anche privata. Affinché un'area privata venga a far parte del demanio stradale non è sufficiente che sulla strada si esplichi di fatto il transito pubblico, essendo al contrario necessario che sia intervenuto un atto (convenzione, espropriazione, usucapione, dicatio ad patriam, ecc.) che ne abbia trasferito il dominio alla P.A. e che la strada sia destinata all'uso pubblico da parte della P.A. stessa (cfr., tra le tante, Cass. civ. sez. II 25.1.2000 n 823; Cass. civ. Sez. I, 26-08-2002, n. 12540; Cons. Stato Sez. VI, 08-10-2013, n. 4953 che richiama Cass. civ., sez. II, 28 settembre 2010, n. 20405; Cass. civ., sez. I, 26 agosto 2002, n. 12540; Cass. civ., Sez. II, 7 aprile 2006, n. 8204).
4.4. Non è sufficiente la mera destinazione all’uso pubblico per configurare l’acquisto della proprietà di una strada al pubblico demanio, essendo comunque necessario un atto di acquisizione della proprietà, non potendo essere di certo individuato nella mera occupazione illegittima del bene, tenuto conto che – come già rilevato - la teoria dell’occupazione acquisitiva è stata del tutto superata.

5. Nel caso di realizzazione di opera pubblica su fondo privato illegittimamente occupato, sussistono elementi utili per configurare la responsabilità civile della PA. 
Sussistono gli elementi utili per configurare la responsabilità civile delle amministrazioni che abbiano attivato e svolto la procedura espropriativa realizzando l’opera oltre il termine consentito ed in assenza di un tempestivo decreto di espropriazione. Al riguardo rilevano, sotto il profilo oggettivo, l’illiceità della condotta che si è concretizzata nello spossessamento dei terreni dei privati, e, sotto il profilo soggettivo, la colpa dei soggetti procedenti che ha caratterizzato il definitivo utilizzo del bene oltre i termini consentiti ed in assenza di un valido decreto di espropriazione.

6. (segue): la PA, che abbia illecitamente trasformato beni privati per realizzare un'opera pubblica, va condannata non al risarcimento del danno, né alla restituzione del bene appreso, ma all'obbligo generico di provvedere ex art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001.
6.1. Nonostante l’irreversibile modificazione delle aree illecitamente occupate, la proprietà delle stesse rimane in capo agli originari titolari e non può esservi luogo per risarcimenti connessi alla “perdita” della proprietà, trattandosi di evento non realizzatosi e non realizzabile, sicché, sussisterebbero tutti i presupposti civilistici per ordinarne la restituzione dei terreni in favore dei legittimi proprietari, previa riduzione nel pristino stato ma, occorre valutare che incidenza ha, in casi del genere, l’art. 42 bis del d.lgs. n. 327/2001 (Cons. Stato, Sez. IV, n. 1514/2012).
6.2. A seguito della declaratoria dell’illegittimità costituzionale dell’articolo 43 del d.lgs. n. 327/2001, è stato introdotto l’articolo 42-bis nel TU Espropriazioni, il quale, pur facendo salvo il potere di acquisizione sanante in capo alla pubblica amministrazione, non ripropone lo schema processuale previsto dal secondo comma dell’originario articolo 43, che attribuiva all’amministrazione la facoltà e l’onere di chiedere la limitazione alla sola condanna risarcitoria, ed al giudice il potere di escludere senza limiti di tempo la restituzione del bene, con il corollario dell’obbligatoria e successiva emanazione dell’atto di acquisizione.
6.3. Il tenore dell’art. 42-bis TU Espropriazioni induce a ritenere che l’amministrazione possa esercitare, nei casi ivi previsti, un potere discrezionale finalizzato a disporre l’acquisizione sanante, regolando i rapporti tra potere amministrativo di acquisizione in sanatoria e processo amministrativo di annullamento, in termini di autonomia, consentendo l’emanazione del provvedimento anche dopo che “sia stato annullato l'atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all'esproprio, l'atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un'opera o il decreto di esproprio” od anche, “durante la pendenza di un giudizio per l'annullamento degli atti citati, se l'amministrazione che ha adottato l'atto impugnato lo ritira”. 
6.4. L'art. 42-bis TU Espropriazioni non regola, invece, i rapporti tra azione risarcitoria, potere di condanna del giudice e successiva attività dell’amministrazione, sicché ove il giudice, in applicazione dei principi generali condannasse l’amministrazione alla restituzione del bene, il vincolo del giudicato eliderebbe irrimediabilmente il potere sanante dell’amministrazione (salva ovviamente l’autonoma volontà transattiva delle parti) con conseguente frustrazione degli obiettivi avuti a riferimento dal legislatore (Cons. Stato, Sez. IV, n. 1514/2012).
6.5. L’interpretazione sistematica delle norme richiamate e la possibilità insita nel principio di atipicità delle pronunce di condanna, ex art. 34 lett.c), c.p.a., impongono una limitazione della condanna all’obbligo generico di provvedere, ex art. 42-bis d.lgs. n. 327/2001, salvi gli effetti vincolanti degli accertamenti compiuti nella sede giudiziaria in cui esiti sono irretrattabili.

T.A.R. Lazio Roma, Sez. 1T, 10 dicembre 2013, n. 10615
Caricamento in corso