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Occupazione suolo pubblico

Demanio e patrimonio Giustizia amministrativa

Validità ed efficacia della procura alle liti conferita da uno soltanto degli amministratori di Società di capitali. Principi in tema di partecipazione al procedimento amministrativo. Il vizio di difetto di motivazione degli atti amministrativi. Tutela del diritto di affaccio dei locali prospicienti le pubbliche vie ex art. 4-quater Regolamento di Roma Capitale per l’occupazione di suolo pubblico
Cons. St., Sez. 5, Sentenza 21 giugno 2013, n. 03402

Principio

1. Validità ed efficacia della procura alle liti conferita da uno soltanto degli amministratori di Società di capitali, trattandosi di atto non esorbitante l'ordinaria amministrazione.
1.1. Ove lo Statuto di società di capitali e la delibera di nomina degli amministratori non contengano elementi utili e decisivi per distinguere gli atti di ordinaria amministrazione da quelli di straordinaria amministrazione, occorre sottolineare che la distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione prevista dal codice civile in relazione ai beni degli incapaci (artt. 320, 374 e 394 c.c.) non coincide con quella applicabile in tema di determinazione dei poteri attribuiti agli amministratori delle società, i quali vanno individuati con riferimento agli atti che rientrano nell’ “oggetto sociale” – qualunque sia la loro rilevanza economica e natura giuridica-, pur se eccedano i limiti della cosiddetta ordinaria amministrazione, con la conseguenza che, salvo le limitazioni specificamente previste nello statuto sociale, devono ritenersi rientranti nella competenza dell’amministratore tutti gli atti che ineriscono alla gestione della società ed eccedenti i suoi poteri, invece, quelli di disposizione o di alienazione, suscettibili di modificare la struttura del’ente e, perciò, esorbitanti (e contrastanti con) l’oggetto sociale (cfr. Cass. Civ., sez. I, 3 marzo 2010, n. 5152).
1.2. Deve escludersi la nullità della procura alle liti conferita per la proposizione del ricorso introduttivo del giudizio dinanzi al T.A.R. da un solo co-amministratore, invece che congiuntamente con l’altro co-amministratore, trattandosi di un atto non esorbitante l'ordinaria amministrazione. La proposizione del ricorso giurisdizionale (introduttivo del giudizio di primo grado), al di là di ogni ragionevole dubbio, ha avuto uno scopo “conservativo” degli interessi della compagine sociale, essendo specificamente finalizzata ad assicurare e garantire, nel modo più completo ed adeguato possibile il pieno e corretto perseguimento dell’oggetto sociale (nella specie si trattava gestione ed esercizio di ristoranti, bar, snack – bar, tavole calde ed altre attività simili), chiedendo l’annullamento degli atti amministrativi che potessero impedire o limitare l’attività direttamente strumentale al predetto oggetto sociale. 
1.3. In alcun modo l'iniziativa del co-amministratore, che conferisca procura alle liti, può configurarsi come atto di straordinaria amministrazione, non avendo le caratteristiche dell’atto di disposizione o alienazione della società o di parte del relativo oggetto sociale ovvero di atto, anche solo astrattamente, idoneo a modificare la struttura dell’ente.

2. Sul principio secondo cui le norme in materia di partecipazione al procedimento amministrativo non devono essere applicate meccanicamente e formalisticamente.
2.1. Le norme in materia di partecipazione al procedimento amministrativo non devono essere applicate meccanicamente e formalisticamente, dovendo essere invece essere interpretate in senso sostanziale, coordinando in modo ragionevole e sistematico principi di legalità, imparzialità e buon andamento ed i corollari di economicità e speditezza dell’azione amministrativa, così che la mancata comunicazione di avvio del procedimento ed anche la mancata nomina del responsabile del procedimento non possono determinare sic et simpliciter l’annullamento del provvedimento, allorquando l’interessato sia venuto comunque a conoscenza dei fatti posti a fondamento del provvedimento sfavorevole ai suoi interessi ed abbia avuto la possibilità di svolgere osservazioni e controdeduzioni (tra le più recenti, C.d.S., sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 753; sez. IV, 8 gennaio 2013, n. 32; 17 settembre 2012, n. 4925; sez. III, 20 giugno 2012, n. 3595).
2.2. Ai sensi dell’art. 21 octies legge n. 241/1990 non è annullabile per la mancata comunicazione di avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (C.d.S., sez. IV, 19 febbraio 2013).

3. Sul vizio di eccesso di potere per difetto di motivazione. In particolare in relazione alle osservazioni formulate dagli interessati in sede procedimentale.
3.1. Il difetto di motivazione sussiste tutte le volte in cui non sia dato comprendere in base a quali dati specifici, fattuali e normativi, sia stata operata la scelta della pubblica amministrazione e non sia pertanto possibile ricostruire l’iter logico – giuridico seguito dall’autorità per giungere alla decisione contestata, dovendo escludersi la ricorrenza del vizio qualora, anche a prescindere dal tenore letterale dell’atto finale, i documenti dell’istruttoria offrano elementi sufficienti ed univoci dai quali possano ricostruirsi le concrete ragioni e l’iter motivazionale a sostegno della determinazione assunta (C.d.S., sez. V, 31 marzo 2012, n. 1907; sez. V, 20 maggio 2010, n. 3190).
3.2. Nell’adottare un provvedimento la pubblica amministrazione non è tenuta a riportare nelle premesse e nella motivazione il testo integrale delle controdeduzioni del destinatario del provvedimento stesso, essendo al contrario sufficiente che le valuti nel loro complesso o per questioni omogenee (C.d.S., sez. VI, 3 luglio 2012, n. 3893), senza necessità di disattenderle in maniera analitica (C.d.S., sez. III, 23 maggio 2011, n. 3106), salvo che non sia provato che l’amministrazione non abbia neppure esaminato le osservazioni e le controdeduzioni formulate, respingendole con una mera formula di stile (C.d.S., sez. 1v, 31 marzo 2010, n. 1834; 22 ottobre 2004, n. 6959).
3.3. È legittimo l'atto dal quale emergano in modo chiaro ed inequivoco i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato l’operato dell’amministrazione.

4. Sulla tutela del diritto di affaccio dei locali prospicienti le pubbliche vie ex art. 4-quater Regolamento di Roma Capitale per l’occupazione di suolo pubblico.
4.1. Ai sensi dell'art. 4 quater del Regolamento di Roma Capitale per l’occupazione di suolo pubblico, nel testo approvato dalla delibera consiliare n. 119 del 30 maggio 2005, nel disciplinare i Limiti derivanti dall’attuazione del Piano Generale del Traffico Urbano (P.G.T.U.) al rilascio delle concessioni di occupazione di suolo pubblico, stabilisce che sulla viabilità locale le nuove concessioni non possono essere rilasciate «h) in posizione antistante l’ingresso di parchi, giardini, stazioni ferroviarie e metropolitane, edifici pubblici e di interesse pubblico, sale cinematografiche, attività di media e grande distribuzione, accessi ad abitazioni, locali in genere e finestre ubicate a mezzanino, salvo che in quest’ultimo caso venga presentata apposita dichiarazione liberatoria con firma autenticata rilasciata da terzi aventi diritto di affaccio sull’area oggetto di richiesta di occupazione di suolo pubblico». Ne consegue che il soggetto titolare locali avente accesso sull'area della via pubblica oggetto di domanda di occupazione di suolo pubblico è soggetto controinteressato, poiché a tali locali è inerente automaticamente il diritto di affaccio, ivi previsto, sull’area immediatamente prospiciente. 
4.2. Il diritto di affaccio, tutelato dall'art. 4-quater del Regolamento comunale di Roma, deve ragionevolmente intendersi non tanto il diritto alle luci e vedute (di natura privatistica, come sostenuto dalla ricorrente), quanto piuttosto un complesso di facoltà, tra cui innanzitutto quella di accedere (e far accedere) liberamente e senza ostacoli ai predetti locali, strumentali al loro pieno e completo utilizzo (ivi compresa la possibilità che i locali siano ben visibili dalla strada pubblica e che sia altrettanto facilmente visibile l’attività economico – commerciale che in essi viene concretamente esercitata, quale mezzo di astratta attrattiva da parte della possibile clientela). In tale ottica, in cui il c.d. diritto di affaccio è pertanto lo strumento teso ad evitare ingiustificati limiti al pieno godimento della proprietà (in senso lato, ivi compreso lo sfruttamento economico – commerciale) dei locali che si aprono sulla via pubblica, non può dubitarsi della ragionevolezza e della legittimità della previsione normativa che ammette che l’area prospiciente i locali possa essere utilizzata, a titolo individuale ed esclusivo da un soggetto diverso dal proprietario dei locali stesso, non solo mediante concessione dell’amministrazione, ma soprattutto con il consenso del proprietario dei locali (titolare del c.d. diritto di affaccio), consenso da manifestarsi espressamente con apposita liberatoria, che si configura non già come atto di rinuncia all’utilizzo commerciale dell’area antistante il locale, bensì come espressa dichiarazione che l’utilizzo di quell’area da parte di terzi non incide sul pieno godimento e sulla piena utilizzabilità, anche commerciale, dei propri locali (come sopra delineata).

Cons. St., Sez. 5, 21 giugno 2013, n. 03402
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