Accedi a LexEureka

Laguna di Venezia

Demanio e patrimonio

Appartenenza della laguna di Venezia al demanio marittimo. Non ascrivibilità al demanio marittimo della parte della laguna di Venezia non utilizzata precipuamente secondo gli usi pubblici del mare. Legittimità dell'imposizione a COSAP delle “terrazze d’acqua” in legno realizzate sul canale di acqua lagunare antistante esercizi pubblici
Cons. St., Sez. 5, Sentenza 3 giugno 2013, n. 03032

Principio

1. Sull'appartenenza della laguna di Venezia al demanio marittimo.
1.1. La generale individuazione legislativa dei beni del demanio marittimo è contenuta nell'art. 822 c.c., che indica: il lido del mare, la spiaggia, le rade e i porti, e più specificamente nell'art. 28 del c. nav., secondo cui appartengono al demanio marittimo: "a) il lido, la spiaggia, i porti e le rade; b) le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa o salmastra che almeno durante una parte dell'anno comunicano liberamente col mare; c) i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo".
1.2. La laguna di Venezia è individuata art. 1 del r.d.l. n. 1853/1936, poi abrogato dall'art. 31, comma 1, della legge 5 marzo 1963, n. 366. Deve tuttavia ritenersi che la estensione del demanio marittimo necessario sia determinata da eventi naturali e che vari al variare di essi, sicché le operazioni che l'autorità effettua per delimitare detto demanio hanno valore puramente dichiarativo; i beni del demanio marittimo necessario sono pertanto tali se ed in quanto ordinati agli usi del mare e, a seconda che acquistino o perdano l'attitudine a servire a tali usi, acquistano o sperdono il carattere di bene demaniale.
1.3. È l'attitudine a servire ai c.d. "usi del mare" (navigazione, diporto, pesca, balneazione, ecc.) a costituire il criterio delimitativo dell'estensione dei beni demaniali marittimi e tale funzione costituisce la “ratio” e il limite per l'affermazione del loro carattere demaniale.
1.4. Per tutti i beni facenti parte del demanio marittimo il punto essenziale dell'indagine che riguarda la identificazione del bene come appartenente a tale categoria giuridica deve essere incentrato sull'elemento funzionale, cioè sulla idoneità del bene a realizzare gli interessi che attengono ai pubblici usi del mare (in tal senso, cfr. Cassazione civile, sez. II, 6 giugno 2012, n. 9118; Cass. n. 15846 del 2011).

2. Non ascrivibilità al demanio marittimo della parte della laguna di Venezia non utilizzata precipuamente secondo gli usi pubblici del mare.
2.1. Anche se tra gli usi pubblici del mare sono di norma compresi la navigazione, l'accesso, l'approdo e la tirata in secco dei natanti, come può avvenire anche lungo i canali interni ed i rii della Laguna di Venezia, la possibilità di utilizzare esse aree per la navigazione, essendo imposto l'uso di piccole imbarcazioni a fondo piatto per gli spostamenti lungo gli stessi, non potrebbe essere riferita agli usi precipui del mare, perché ben diverse devono essere le imbarcazioni professionali o da diporto che possono essere utilizzate in mare per la vera e propria navigazione. Pure deve escludersi che sia nei canali possibile il normale esercizio di altri usi pubblici del mare, come la pesca, la balneazione, ecc. Deve pertanto escludersi il carattere di demanio marittimo della parte della laguna di Venezia non utilizzata precipuamente secondo gli usi pubblici del mare.
2.2. In linea con il criterio funzionale di differenziazione tra demanio marittimo necessario e le zone da esso escluse, sono intervenute disposizioni come il R.D. n. 1040/1872 e il R.D. n. 5629/1888, integrato dal R.D. n. 721/1904, che hanno escluso i canali e rivi interni della città di Venezia dal novero di quelli esistenti in laguna, considerandoli di esclusivo interesse del Comune, soggetti alla sua giurisdizione e manutenzione. Tanto comporta la equiparazione di detti canali interni più a vie di comunicazione acquea e quindi a strade, includibili nel demanio comunale stradale (invece che nel demanio marittimo) relativamente al quale, ex art. 822, comma 2, e 824 del c.c., i Comuni sono titolari del relativo diritto.
2.3. Non rileva che l’art. 3 del R.d. n. 721/1904, del codice della navigazione, l’art. 517 del reg. cod. nav. Marittima, e l’art. 4 della l. n. 366/1963, che hanno regolato la materia, non abbiano mai disposto la formale sdemanializzazione dei canali, ma solo la loro consegna, atteso che l’appartenenza al demanio marittimo necessario è determinata da eventi naturali e i beni del demanio marittimo necessario sono tali solo se ed in quanto ordinati agli usi del mare, a prescindere da risultanze catastali o altro.

3. Legittimamente il Comune di Venezia impone il pagamento del canone annuo per occupazione di area pubblica alle “terrazze d’acqua” in legno realizzate sul canale di acqua lagunare antistante esercizi pubblici.
3.1. Dal momento che le c.d. “terrazze d’acqua” in legno realizzate sul canale di acqua lagunare antistante esercizi pubblici, pur di proprietà privata, insistono su aree di pertinenza demaniale, legittimamente il Comune di Venezia esige il pagamento del relativo canone di occupazione area pubblica. È incontrovertibile che il pagamento del canone di concessione è relativo allo specchio d’acqua occupato dalle terrazze costruite sul canale, a prescindere dalla proprietà delle stesse e dai costi di realizzazione, che sono da affrontare anche in caso di occupazione con plateatici posti su pedane sulle pubbliche vie, senza che le relative spese vengano sottratte da quanto dovuto a titolo di canone di occupazione.
3.2. Non può sussistere disparità di trattamento rispetto alle occupazioni di canali con posti barca, sia per la precarietà anche temporale di tali ultime occupazioni rispetto a quella effettuata con dette terrazze, sia perché i natanti ormeggiati non sono stabilmente infissi a terra e collegati con continuità con le pubbliche vie, cui non sono di certo assimilabili, come invece le c.d. terrazze d'acqua.

Cons. St., Sez. 5, 3 giugno 2013, n. 03032
Caricamento in corso