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La violazione del termine per il deposito della prova dell'integrazione del contraddittorio.

Giustizia amministrativa

Sull'improcedibilità per la violazione del termine ai fini del deposito della prova dell'integrazione del contraddittorio.
T.A.R. Lazio Roma, Sez. 3, Sentenza 15 novembre 2018, n. 11070

Premassima

1. Ai sensi del combinato disposto degli artt. 49, co° 3 e 35, c.p.a. la violazione del termine per il deposito della prova dell’integrazione del contraddittorio determina l’improcedibilità del ricorso.

2. L’ improcedibilità dell’azione annullatoria per violazione del termine per il deposito della prova dell’integrazione del contraddittorio non si estende all’azione di condanna, salva la necessità di individuare una serie causale autonoma, idonea di per sé a cagionare il danno stesso, al di là del carattere antigiuridico del provvedimento lesivo considerato.

Principio

1. Ai sensi del combinato disposto degli artt. 49, co° 3 e 35, c.p.a. la violazione del termine per il deposito della prova dell’integrazione del contraddittorio determina l’improcedibilità del ricorso.

In riferimento all'integrazione del contraddittorio, ha precisato il Collegio che ai sensi del combinato disposto degli artt. 49, co° 3 e 35, c.p.a. la violazione del termine per il deposito della prova dell’integrazione del contraddittorio determina l’improcedibilità del ricorso, atteso che l'art. 49, comma 3, c.p.a. assegna al giudice la fissazione di tale termine e dispone che lo stesso provveda ai sensi del precedente art. 35 "se l'atto di integrazione del contraddittorio non è tempestivamente notificato e depositato", attribuendo così distinta rilevanza al rispetto di entrambi i termini giudizialmente fissati. Ciò posto, nel caso di specie, ha ritenuto il Consesso che non può essere ritenuta prova sufficiente la produzione di una semplice attestazione dell’UNEP presso la Corte d’Appello di Roma di una ricevuta di notifica a ventidue soggetti, dei quali, tuttavia, non sono specificate neppure le generalità.

2. L’ improcedibilità dell’azione annullatoria per violazione del termine per il deposito della prova dell’integrazione del contraddittorio non si estende all’azione di condanna, salva la necessità di individuare una serie causale autonoma, idonea di per sé a cagionare il danno stesso, al di là del carattere antigiuridico del provvedimento lesivo considerato.

In ordine alla questione dell'improcedibilità dell'azione annullatoria il T.A.R. Lazio, ha ribadito che non può essere ignorato quanto prescritto dall’art. 30, comma 3 c.p.a., secondo cui “nel determinare il risarcimento, il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti”. La norma in esame, invero, è stata temperata dalla c.d. pregiudiziale amministrativa, vale a dire dalla circostanza di inammissibilità in rito della domanda risarcitoria, se non previo annullamento dell’atto, che si assume lesivo. L’assenza della domanda di annullamento tuttavia non è senza conseguenze sul piano risarcitorio. Sul punto il Collegio, difatti, richiamando l'indirizzo ermeneutico sviluppato dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza n. 3 del 23 marzo 2011, ha osservato che il problema del mancato annullamento è stato spostato dal piano dell’ammissibilità in rito a quello del merito della pretesa, con riconosciuta possibilità di individuare, attraverso l’esame del fatto e del comportamento delle parti, una serie causale autonoma, idonea a cagionare il danno stesso, al di là del carattere antigiuridico del provvedimento lesivo, con conseguente esclusione – e non mera riduzione – del risarcimento, come previsto dall’art. 1227, comma 1, cod. civ..

T.A.R. Lazio Roma, Sez. 3, 15 novembre 2018, n. 11070
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