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Istituto della cooptazione

Contratti pubblici

1. Dichiarazioni da rendere sulla c.d. moralità professionale. Amministratori e direttori tecnici dell'azienda ceduta al concorrente nell'anno antecedente al bando. Sussistenza dell'obbligo per principio ubi commoda eius et incommoda. In caso di dimostrata di discontinuità. Obbligo non sussiste. Concordato preventivo. Presunzione di discontinuità. 2. Istituto della cooptazione ex art. 92, comma 5, d.P.R. n. 207/2010. Ratio. Requisiti di qualificazione delle imprese cooptate. Irrilevanza ai fini della partecipazione alla gara dell'impresa cooptante o del raggruppamento di imprese cooptanti che, con la domanda di partecipazione alla gara, deve assumersi formalmente l’onere di partecipare all’appalto con riferimento alla intera quota dei lavori, la cui esecuzione dovrà integralmente garantire in caso di aggiudicazione del contratto. Necessità che l’impresa o il gruppo cooptante deve comunque possedere tutte le qualificazioni richieste dal bando
Cons. St., Sez. 5, Sentenza 17 marzo 2014, n. 01327

Principio

1. Dichiarazioni da rendere sulla c.d. moralità professionale. Amministratori e direttori tecnici dell'azienda ceduta al concorrente nell'anno antecedente al bando. Sussistenza dell'obbligo per principio ubi commoda eius et incommoda. In caso di dimostrata di discontinuità. Obbligo non sussiste. Concordato preventivo. Presunzione di discontinuità.
1.1. La dichiarazione circa l’insussistenza di sentenze di condanna passate in giudicato (o di decreti penali di condanna irrevocabili, o di sentenze di applicazione della pena su richiesta) per determinati reati nei confronti di amministratori e direttori tecnici, prevista dall’art. 38 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (codice degli appalti pubblici), va resa, a pena di esclusione, in caso di cessione d’azienda in favore del concorrente nell'anno anteriore al bando (così a seguito delle modifiche introdotte dalla legge 12 luglio 2011, n. 106), anche con riferimento agli amministratori ed ai direttori tecnici che hanno operato presso la impresa cedente nell'ultimo anno (cfr. Adunanza Plenaria sentenza del 4 maggio 2012, n. 10). L’affermazione di tale principio da parte della Adunanza Plenaria ha superato il contrasto insorto tra le singole Sezioni del Consiglio di Stato, che aveva portato al sorgere di due opposti orientamenti giurisprudenziali. Una prima tesi, infatti, era nel senso che la dichiarazione resa dall'impresa concorrente sui requisiti morali dovesse essere espressamente riferita anche agli amministratori e ai direttori tecnici di un impresa estranea alla gara, dalla quale la partecipante avesse acquisito il ramo di azienda prima della partecipazione alla gara medesima, in base al presupposto che i requisiti soggettivi negativi propri dell'impresa cedente si trasmettano all'impresa cessionaria (Cons. St., Sez. VI, 4 maggio 2011, n. 2662). Un opposto indirizzo, al contrario, riteneva che non potesse essere esclusa dalla gara d'appalto, prima della partecipazione alla selezione, l'Impresa cessionaria che non avesse presentato le dichiarazioni sulla moralità professionale relative ai requisiti soggettivi della cedente riferita sia agli amministratori e direttori tecnici, in quanto l'art. 38 D.L.vo 12 aprile 2006, n. 163, richiede il possesso e la dimostrazione dei requisiti generali solo in capo al soggetto concorrente (Cons. St., Sez. V, 15 novembre 2010, n. 8044).
1.2. Con la sentenza n. 10/2012 l’Adunanza Plenaria ha inteso coordinare il principio di tipicità e tassatività delle cause di esclusione, che non consente di introdurre ulteriori e non previste cause ostative alla partecipazione alla procedura di gara, con la necessità di evitare l’utilizzo di strumenti elusivi del principio che impone che il possesso dei requisiti di moralità sia effettivo in capo a tutti i concorrenti. Quindi, il principio ubi commoda eius et incommoda è stato ritenuto sufficiente per ‘addossare’ al cessionario la responsabilità per le condotte degli amministratori dell’impresa cedente. 
1.3. In caso di cessione d’azienda in favore del concorrente a gara pubblica, ove non venga presentata la dichiarazione ex art. 38 cod. contratti con riferimento agli amministratori ed ai direttori tecnici che hanno operato presso la impresa cedente nell'ultimo anno, il cessionario di ramo di azienda non deve essere escluso dalla gara, qualora comprovi che la cessione si è svolta secondo una linea di discontinuità rispetto alla precedente gestione, tale da escludere alcuna influenza dei comportamenti degli amministratori e direttori tecnici della cedente. Nella medesima ipotesi, in difetto di specifiche previsioni nel bando di gara recanti al riguardo una espressa comminatoria di esclusione, quest’ultima potrà essere disposta soltanto là dove sia effettivamente riscontrabile l’assenza del requisito della moralità professionale.
1.4. In merito alla discontinuità della gestione, la stessa può evincersi quando la cessione del ramo d’azienda sia stata attuata per il tramite di una procedura di concordato preventivo per cessione di beni. La procedura in questione sortisce effetti immediati sulla gestione dell’impresa, che è sottoposta a considerevoli limitazioni, che vengono a determinare una rilevante discontinuità ai fini che in questa sede interessano. Così, già all’indomani dell’ammissione al concordato, il debitore conserva l'amministrazione dei suoi beni e l'esercizio dell'impresa, sotto la vigilanza del commissario giudiziale, ma non può compiere atti che eccedano l’ordinaria amministrazione, se non previa autorizzazione del giudice delegato (art. 167 L.F.). In sede di omologa, anche all’indomani delle modifiche portate dal d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, il giudice svolge un controllo di legittimità sostanziale e non di regolarità formale della procedura, potendo questi emettere proprie determinazioni anche d’ufficio (Cass. civ., Sez. I, 15 settembre 2011, n. 18864). Inoltre, ai sensi dell’art. 182 L.F. con il decreto di omologazione il tribunale nomina uno o più liquidatori e un comitato di tre o cinque creditori per assistere alla liquidazione e determina le altre modalità della liquidazione. Pertanto, in assenza di specifiche indicazioni il liquidatore può effettuare scelte discrezionali, nei limiti dei criteri forniti dal giudice delegato, sulle modalità di vendita ritenute più idonee al conseguimento del miglior realizzo nell'interesse della massa concorsuale, mentre tale attività non può essere svolta in modo sostitutivo o parallelo dal debitore concordatario (Cass. civ., Sez. I, 15 luglio 2011, n. 15699). Inoltre, all’indomani del decreto di omologazione in caso di concordato per mera cessione dei beni, secondo quanto dispone l’art. 186-bis L.F., non è possibile la continuazione della attività aziendale, se la stessa non è stata prevista nel piano di concordato di cui all'articolo 161 L.F. secondo comma, lettera e), L.F. 
1.5. Se la cessione del ramo d’azienda non determina di per sé una discontinuità nella gestione tale da sottrarre gli amministratori e direttori tecnici dell’impresa ceduta agli obblighi dichiarativi di cui all’art. 38, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 163/2006, qualora ciò avvenga per il tramite di una procedura di concordato preventivo, e salvo che non sia desumibile da ulteriori elementi un intento elusivo della prescrizione ivi contenuta, non può ritenersi che l’impresa cessionaria concorrente nella procedura di gara sia tenuta a rendere le dichiarazioni in questione. La cessione dell’azienda o del ramo d’azienda a seguito del concordato preventivo determina, infatti, una cesura nella gestione dei beni dell’impresa, tale da escludere un’influenza dei comportamenti degli amministratori e dei direttori tecnici della cedente, senza che risulti rilevante che quest’ultimi ex art. 2487-bis, terzo comma c.c., avvenuta l’iscrizione nel registro delle imprese dei liquidatori, a differenza di quanto accade per gli amministratori, non cessino dalla carica.

2. Istituto della cooptazione ex art. 92, comma 5, d.P.R. n. 207/2010. Ratio. Requisiti di qualificazione delle imprese cooptate. Irrilevanza ai fini della partecipazione alla gara dell'impresa cooptante o del raggruppamento di imprese cooptanti che, con la domanda di partecipazione alla gara, deve assumersi formalmente l’onere di partecipare all’appalto con riferimento alla intera quota dei lavori, la cui esecuzione dovrà integralmente garantire in caso di aggiudicazione del contratto. Necessità che l’impresa o il gruppo cooptante deve comunque possedere tutte le qualificazioni richieste dal bando. 
Le imprese di cui all’art. 92 comma 5 del D.P.R. 207/2010 sono le c.d. imprese cooptate, le quali non possono acquistare lo status di contraente, non possono acquistare alcuna quota di partecipazione all’appalto, non possono rivestire la posizione di offerente prima e di contraente dopo, non possono prestare garanzie, non possono in alcun modo subappaltare o dichiarare di affidare a terzi una quota dei lavori, perché non ne sono titolari e perché per definizione sono prive della attestazione SOA. L'istituto della c.d. cooptazione è, infatti, preordinato a consentire che imprese minori siano associate ad imprese maggiori e che, in questo modo, le prime maturino capacità tecniche diverse rispetto a quelle già possedute, facendo comunque salvo l'interesse della Stazione appaltante attraverso l'imposizione della qualificazione dell'intero valore dell'appalto da parte delle seconde e cioè delle imprese che associano.

3. Avvalimento frazionato. Ammissibilità.
Nelle gare pubbliche non può ritenersi vietato l’utilizzo dell’avvalimento frazionato, specie All’indomani della sentenza della Corte Giust., 10 ottobre 2013, C-94/12, secondo la quale: “Gli articoli 47, paragrafo 2, e 48, paragrafo 3, della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, letti in combinato disposto con l’articolo 44, paragrafo 2, della medesima direttiva, devono essere interpretati nel senso che ostano ad una disposizione nazionale, art. 49 co. 6 Codice degli appalti, la quale vieta, in via generale, agli operatori economici che partecipano ad una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico di lavori di avvalersi, per una stessa categoria di qualificazione, delle capacità di più imprese”. Nella suddetta pronuncia la Corte di Giustizia UE ha, quindi, ritenuto che l’integrazione dei requisiti minimi di capacità imposti dall’amministrazione aggiudicatrice può essere dimostrata, sia utilizzando l’avvalimento frazionato che l’avvalimento plurimo, poiché ciò che rileva è la dimostrazione da parte del candidato o dell’offerente, che si avvale delle capacità di uno o di svariati altri soggetti, di poter disporre effettivamente dei mezzi di questi ultimi che sono necessari all’esecuzione dell’appalto.

Cons. St., Sez. 5, 17 marzo 2014, n. 01327
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