Giudizio costituzionale sul vincolo di rappresentatività di entrambi i sessi nelle liste elettorali nei comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti
Elezioni
Premassima
Principio
Nella sentenza emarginata in epigrafe, il Consesso precisando in primis
che nell’odierno assetto normativo si individuano tre livelli di tutela, la
quale applicazione deriva dal numero di abitanti del Comune oggetto della competizione
elettorale, ha ricordato che l’art. 71, comma 3-bis, d.lgs. n. 267 del 2000,
pur avendo previsto l’obbligo di assicurare la parità di genere nelle elezioni
di qualsiasi Comune, ha volutamente omesso di fornire una disciplina alle
conseguenze della violazione dell’obbligo anzidetto nei Comuni più piccoli.
Un’interpretazione compatibile con il dettato costituzionale è da escludere
anche qualora vi sia una eventuale disapplicazione della normativa de qua
per opposizione con l’art. 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea rubricata “parità tra donne e uomini”, secondo cui “La parità tra
donne e uomini deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di
occupazione, di lavoro e di retribuzione. Il principio della parità non osta al
mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore
del sesso sottorappresentato”.
La suddetta disposizione, difatti, non presenta efficacia diretta ed immediata,
perlomeno in riferimento alla legislazione promozionale, riponendo alla
decisione del legislatore nazionale la scelta di strumenti più adeguati all’affermazione
del principio di parità. Pertanto, scarseggiano le condizioni tali da
consentire al giudice la disapplicazione della norma interna per contrasto con
il diritto comunitario.
Quindi, la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Collegio è
rilevante e non risolvibile attraverso un’interpretazione costituzionalmente
orientata del dettato normativo.
Inoltre, cardine della disciplina in commento è rappresentato dall’art.42,
rubricato “adozione e finalità delle azioni positive”, ossia la azioni
predisposte al fine di rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono la
realizzazione di pari opportunità, nell’ambito della competenza statale.
Difatti, è in merito all’art. 3 Cost. che emerge la premessa sul sindacato
della Corte nella materia elettorale. Il giudizio “deve svolgersi attraverso
ponderazioni relative alla proporzionalità dei mezzi prescelti dal legislatore
nella sia insindacabile discrezionalità rispetto alle esigenze obiettive da
soddisfare o alle finalità che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze
e delle limitazioni concretamente sussistenti”. Laddove, l’orientamento
giurisprudenziale della Corte costituzionale sostiene che il trattamento si
configura come “discriminatorio” quando la differenziazione di disciplina sia
ingiustificata, “formalmente contradditoria”, ovvero “irrazionale, secondo le
regole del discorso pratico”. Nel caso de quo risulta irragionevole non
avere indicato alcun vincolo nella formazione delle liste elettorali nei Comuni
fino a 5.000 abitanti e l’avere privato gli aspiranti candidati agli organi
elettivi di tali Comuni di qualsiasi forma di tutela avverso le violazioni del
principio di parità di genere nelle competizioni elettorali, principio che appunto
è stato espressamente affermato dal legislatore. Di conseguenza, in tal modo
risulta violato l’art. 3 Cost. rispetto alla predisposizione di regimi di
tutela differenziati con riferimento al diritto all’elettorato passivo, inteso
come “diritto politico fondamentale che l’art. 51 Cost. garantisce ad ogni
cittadino con i caratteri propri dell’inviolabilità ex art. 2 Cost.”.