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Fondazioni lirico-sinfoniche

Enti pubblici

Sull'assoggettamento delle fondazioni lirico-sinfoniche alle disposizioni normative in materia di finanza pubblica (c.d. spending review)
T.A.R. Lazio Roma, Sez. 3, Sentenza 5 giugno 2013, n. 05636

Principio

1. Sulla natura degli elenchi ISTAT nel quadro della c.d. spending review.
1.1. Con l’art. 5, comma 7, D.L. 2 marzo 2012, n. 16 conv. in legge 26 aprile 2012, n. 44 che ha modificato l’art. 1, comma 2, della legge n. 196/2009, gli elenchi ISTAT del 24 luglio 2010 e del 30 settembre 2011 (nei quali sono inclusi le “fondazioni lirico-sinfoniche” e i “teatri stabili ad iniziativa pubblica”) sono stati “cristallizzati” in legge, con ciò perdendo la loro connotazione provvedimentale ed assurgendo a norma di rango primario. È evidente l’intenzione del legislatore nazionale di prendere come riferimento gli elenchi ISTAT del 24 luglio 2010 e del 30 settembre 2011 per individuare le amministrazioni pubbliche da assoggettare delle disposizioni in materia di finanza pubblica che sono contenute nel D.L. n. 95/2012 conv. in legge n. 135/2012 (c.d. “spending review”).
1.2. Nessun dubbio può esservi sulla sopravvenuta natura normativa degli elenchi del 24 luglio 2010 e del 30 settembre 2011 sia perché individuati espressamente nella norma di legge sia perché il legislatore ha individuato anche il periodo temporale di decorrenza con effetti anche retroattivi (per il 2011, vale invero l’elenco di cui al comunicato ISTAT del 24 luglio 2010).
1.3. Per quanto riguarda invece l’anno 2012, l’aggiornamento di cui al comunicato ISTAT del 28 settembre 2012, secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 2, della legge n. 196/2009, non sostituisce gli elenchi del luglio 2010 e di settembre 2011, bensì integra l’elenco delle amministrazioni pubbliche già inserite nei due elenchi precedenti, dal che deriva che la verifica sulla natura amministrativa o normativa dell’ultimo comunicato del 28 settembre 2012 deve essere limitata alla parte relativa agli aggiornamenti ovvero a quelle integrazioni che hanno incluso ulteriori enti a quelli già indicati, sancendone la loro connotazione pubblicistica ai fini dell’applicazione delle misure di finanza pubblica.
1.4. L’art. 1, comma 169, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (secondo cui «Avverso gli atti di ricognizione delle amministrazioni pubbliche operata annualmente dall'ISTAT ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, è ammesso ricorso alle Sezioni riunite della Corte dei conti, in speciale composizione, ai sensi dell'articolo 103, secondo comma, della Costituzione») deve essere interpretato compatibilmente con l'art. 1, comma 2, della legge n. 196/2009, nel senso che il ricorso sarà ammesso solo contro gli aggiornamenti dell’ISTAT intervenuti successivamente alla data di entrata in vigore della norma processuale ovvero al 1° gennaio 2013, aggiornamenti da intendersi come relativi ad inserimento di nuovi enti o organismi di qualunque tipo ritenuto, diversi da quelli già considerati negli elenchi precedenti. Una diversa interpretazione non sarebbe accettabile sia perché svuoterebbe di contenuto l’art. 1, comma 2, della legge 196 del 2009 - e si scontrerebbe con il principio secondo cui una norma, se non abrogata, deve comunque essere interpretata nel senso che possa avere un margine di applicazione nell’ordinamento giuridico - sia perché una norma di carattere meramente processuale non può svuotare il precetto contenuto in una previsione di natura sostanziale.
1.5. Costituisce corollario del sopravvenuto riconoscimento “legislativo” degli elenchi del 2010 e del 2011 che l’eventuale esclusione di alcuni enti inseriti in tali elenchi (del 2010 e del 2011) dall’applicazione delle misure di finanza pubblica introdotte a regime nell’anno 2012 potrà avvenire unicamente mediante una espressa esclusione contenuta in una nuova norma di rango legislativo ovvero, tutt’al più, attraverso la tecnica della “delegificazione” ai sensi dell’art. 17 della legge n. 400/1988.

2. Sul riconoscimento normativo della natura pubblicistica fondazioni lirico-sinfoniche.
2.1. Con l’art. 5, comma 7, D.L. 2 marzo 2012, n. 16 conv. in legge 26 aprile 2012, n. 44 che ha modificato l’art. 1, comma 2, della legge n. 196/2009, il legislatore ha ritenuto di attribuire “con legge” la natura pubblica agli enti indicati negli elenchi ISTAT e l’interprete, di fronte ad una qualificazione espressa in tal senso mediante uno strumento primario di legificazione, non può che limitarsi a prendere atto di tale scelta legislativa, a sua volta sindacabile solo nei limiti dell’irragionevolezza sotto eventuali vari profili, accertabile come noto però solo dal “giudice delle leggi”.
2.2. Solo laddove non sia esplicitamente indicata la natura pubblica dell’organismo, la dottrina e la giurisprudenza insegnano che deve farsi riferimento ai c.d. “indici rivelatori della pubblicità” attraverso un’analisi in concreto della struttura, delle modalità di funzionamento e di finanziamento, dei controlli, il cui esito può portare o meno ad una qualificazione pubblicistica dell’ente, con conseguente applicazione della normativa (pubblicistica) di riferimento. Così come è noto, peraltro, che, anche a fronte di una qualificazione privatistica di un ente, non si esclude che questo possa comunque essere assoggettato a singole previsioni di carattere pubblicistico, come spesso avviene per quelle di derivazione comunitaria. Ciò perché la legislazione comunitaria non conosce, invero, una classificazione “statica” degli enti pubblici bensì “dinamica” in ragione della funzione o degli obiettivi che l’Unione europea stessa intende perseguire.

3. Sulla non manifesta fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 legge n. 196/2009 e degli artt. 1, comma 7, 3, commi 1, 10 e 11 bis, 5, commi 2, 7 e 8, 8, comma 3, D.L. n. 95/2012 conv. in legge n. 135/2012 in relazione alla normativa comunitaria sull'uniformazione dei sistemi contabili nazionali. Insussistenza dei presupposti per la disapplicazione della normativa nazionale per contrasto con quella comunitaria.
3.1. Al fine di compiere il giudizio di conformità costituzionale delle legificazione degli elenchi ISTAT non può prendersi a riferimento il rispetto dei parametri di cui al Regolamento UE n. 2223/1996 – SEC 95, perché il SEC 95 ha il fine di uniformare a livello europeo i sistemi contabili nazionali per un corretto ed omogeneo calcolo del disavanzo e del debito pubblico, laddove l’art. 1, comma 2, della legge n. 196/2009, come successivamente modificata, rileva solo ai fini dell’applicazione delle misure nazionali di finanza pubblica, bensì unicamente la conformità ai principi costituzionali con particolare riferimento a quelli dedicati alla promozione ed allo sviluppo della cultura, di cui agli artt. 3, 9, 33 e 97 Cost. richiamati dalla ricorrente.
3.2. Non sussistono i presupposti per una disapplicazione della norma nazionale (sempre l’art. 1, comma 2, della legge n. 196/2009) per contrasto con la normativa comunitaria (SEC 95) in quanto le finalità delle due previsioni non sono affatto omogenee in quanto, come sopra esposto, la prima si limita ad individuare le amministrazioni pubbliche da assoggettare alle misure di finanza pubblica nazionale, a prescindere dal fatto che l’applicazione di tali misure abbia poi effetti sul disavanzo e sul debito pubblico nazionale, mentre la seconda mira ad uniformare a livello europeo le contabilità nazionali in modo da rendere agevole il calcolo del disavanzo e del debito pubblico.

4. (segue): sulla non manifesta fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 legge n. 196/2009 e degli artt. 1, comma 7, 3, commi 1, 10 e 11 bis, 5, commi 2, 7 e 8, 8, comma 3, D.L. n. 95/2012 conv. in legge n. 135/2012 in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione.
4.1. Sulla qualificazione in senso pubblicistico degli enti lirici, ancorché privatizzati, gli indici sono molteplici e ravvisabili nella preminente rilevanza dello Stato nei finanziamenti, nel conseguente assoggettamento al controllo della Corte dei conti, ai sensi dell’art. 15, comma 5, del d.lgs. n. 367 del 1996, nel patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, confermato dall’art. 1, comma 3, del decreto-legge n. 345 del 2000, nell’inclusione nel novero degli organismi di diritto pubblico soggetti al d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE). In particolare, il tenore della citata disciplina sugli appalti pubblici, di derivazione comunitaria, appare molto eloquente, perché riconosce a livello legislativo la compatibilità della nozione di organismo di diritto pubblico con la forma giuridica privata dell’ente («anche in forma societaria»), purché l’ente stesso risulti, come nella specie, istituito per soddisfare esigenze d’interesse generale, dotato di personalità giuridica e finanziato in modo maggioritario dallo Stato o da altri enti pubblici (art. 3, comma 26, del d.lgs. n. 163 del 2006) (cfr. Corte Costituzionale sent. n. 153/2011).
4.2. L’applicabilità di misure di finanza pubblica anche ad enti privatizzati non è frutto di una valutazione arbitraria dell’Amministrazione, ma, al contrario, corrisponde alla qualificazione pubblica degli stessi e ai criteri stabiliti dalla legge in coerenza con i principi desumibili dall’art. 81 della Costituzione e con il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione (cfr. Cons. St., Sez. VI, sent. n. 6014/2012).

5. (segue): sulla non manifesta fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 legge n. 196/2009 e degli artt. 1, comma 7, 3, commi 1, 10 e 11 bis, 5, commi 2, 7 e 8, 8, comma 3, D.L. n. 95/2012 conv. in legge n. 135/2012 in riferimento agli artt. 9 e 33 della Costituzione.
5.1. Non è affatto dimostrato che le misure normative di finanza pubblica c.d. spending review siano tali da impedire e incidere in modo dirimente e negativo sulla promozione dello sviluppo della cultura, di cui all’art. 9, primo comma, Cost. Non può ritenersi che la c.d. spending review sia capace di incidere ovvero di limitare il perseguimento di finalità costituzionalmente garantite come la promozione dello sviluppo della cultura, soprattutto se parametrata agli altrettanti vincoli imposti dall’art. 81 Cost. e all’attuale crisi economica che sta affliggendo la nazione italiana.
5.2. Sebbene alcune norme del D.L. n. 95/2012 conv. in legge n. 135/2012, tra cui gli artt. 5, comma 8 (in tema di non monetizzabilità delle ferie non godute) e 8, comma 3 (riguardante la riduzione del 10% - a regime - delle spese sostenute nel 2010 per consumi intermedi, risparmio poi da versare alle casse dello Stato) possano produrre effetti limitanti per la programmazione culturale di enti come parte ricorrente, ciò non significa che tali previsioni siano in contrasto con i principi costituzionali sanciti negli artt. 9 e 33 della Cost. anche perché il perseguimento di tale obiettivo risulta garantito, pur con le ristrettezze di bilancio degli ultimi anni, con il finanziamento a carico del F.U.S. (fondo unico spettacolo) che, seppure ridottosi negli ultimi anni, è proprio finalizzato a perseguire quanto fissato nella carta costituzionale. Anche alla luce del solo comune buon senso, non può dubitarsi della conformità a principi costituzionali della norma che, in un periodo di crisi economica che ha colpito il Paese, introduce restrizioni, in particolare a soggetti che beneficiano di contributi e finanziamenti pubblici, id est della collettività (cfr. T.A.R. Lazio, Sez. III-quater, sentenza n. 3048/2012). Ciò anche in relazione alla pari necessità di rispetto dell’art. 81 Cost. ed alla luce della necessità di individuare un punto di equilibrio dinamico e non prefissato in anticipo tra i vari diritti tutelati dalla Carta costituzionale che deve essere valutato secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza (cfr. Corte Costituzionale sent. 9.5.2013, n. 85).

T.A.R. Lazio Roma, Sez. 3, 5 giugno 2013, n. 05636
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